lunes, 19 de agosto de 2013

Perché leggere i classici, Italo Calvino



Perché leggere i classici
Italo Calvino


Edizioni di riferimento
Italo Calvino, "Italiani, vi esorto ai classici", «L'Espresso», 28 giugno 1981, pp. 58-68.
Italo Calvino, Perché leggere i classici, Oscar Mondadori, Milano 1995


Cominciamo con qualche proposta di definizione.

1. I classici sono quei libri di cui si sente dire di solito:
«Sto rileggendo...» e mai «Sto leggendo...»

Questo avviene almeno tra quelle persone che si suppongono «di vaste letture»; non vale per la gioventù, età in cui l'incontro col mondo, e coi classici come parte del mondo, vale proprio in quanto primo incontro.
Il prefisso iterativo davanti al verbo «leggere» può essere una piccola ipocrisia da parte di quanti si vergognano d'ammettere di non aver letto un libro famoso. Per rassicurarli basterà osservare che per vaste che possano essere le letture «di formazione» d'un individuo, resta sempre un numero enorme d'opere fondamentali che uno non ha letto.
Chi ha letto tutto Erodoto e tutto Tucidide alzi la mano. E Saint-Simon? E il Retz? Ma anche i grandi cicli romanzeschi dell'Ottocento sono più nominati che letti. Balzac in Francia si comincia a leggerlo a scuola, e dal numero delle edizioni in circolazione si direbbe che si continua a leggerlo anche dopo. Ma in Italia se si facesse un sondaggio Doxa temo che Balzac risulterebbe agli ultimi posti. Gli appassionati di Dickens in Italia sono una ristretta élite di persone che quando s'incontrano si mettono subito a ricordare personaggi e episodi come di gente di loro conoscenza. Anni fa Michel Butor, insegnando in America, stanco di sentirsi chiedere di Emile Zola che non aveva mai letto, si decise a leggere tutto il ciclo dei Rougon-Macquart. Scoperse che era tutto diverso da come credeva: una favolosa genealogia mitologica e cosmogonica, che descrisse in un bellissimo saggio.
Questo per dire che il leggere per la prima volta un grande libro in età matura è un piacere straordinario: diverso (ma non si può dire maggiore o minore) rispetto a quello d'averlo letto in gioventù. La gioventù comunica alla lettura come a ogni altra esperienza un particolare sapore e una particolare importanza; mentre in maturità si apprezzano (si dovrebbero apprezzare) molti dettagli e livelli e significati in più. Possiamo tentare allora quest'altra formula di definizione:

2. Si dicono classici quei libri che costituiscono una ricchezza per chi li ha letti e amati; ma costituiscono una ricchezza non minore per chi si riserba la fortuna di leggerli  per la prima volta nelle condizioni migliori per gustarli.
Infatti le letture di gioventù possono essere poco proficue per impazienza, distrazione, inesperienza delle istruzioni per l'uso, inesperienza della vita. Possono essere (magari nello stesso tempo) formative nel senso che danno una forma alle esperienze future, fornendo modelli, contenitori, termini di paragone, schemi di classificazione, scale di valori, paradigmi di bellezza: tutte cose che continuano a operare anche se del libro letto in gioventù ci si ricorda poco o nulla. Rileggendo il libro in età matura, accade di ritrovare queste costanti che ormai fanno parte dei nostri meccanismi interiori e di cui avevamo dimenticato l'origine. C'è una particolare forza dell'opera che riesce a farsi dimenticare in quanto tale, ma che lascia il suo seme. La definizione che possiamo darne allora sarà:

3. I classici sono libri che esercitano un'influenza particolare sia quando s'impongono come indimenticabili, sia quando si nascondono nelle pieghe della memoria  mimetizzandosi da inconscio collettivo o individuale.

Per questo ci dovrebbe essere un tempo nella vita adulta dedicato a rivisitare le letture più importanti della gioventù. Se i libri sono rimasti gli stessi (ma anch'essi cambiano, nella luce d'una prospettiva storica mutata) noi siamo certamente cambiati, e l'incontro è un avvenimento del tutto nuovo.
Dunque, che si usi il verbo «leggere» o il verbo «rileggere» non ha molta importanza. Potremmo infatti dire:
4. D'un classico ogni rilettura è una lettura di scoperta come la prima.

5. D'un classico ogni prima lettura è in realtà una rilettura.

La definizione 4 può essere considerata corollario di questa:

6. Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire.

Mentre la definizione 5 rimanda a una formulazione più esplicativa, come:

7. I classici sono quei libri che ci arrivano portando su di sé la traccia delle letture che hanno preceduto la nostra e dietro di sé la traccia che hanno lasciato nella cultura o nelle culture che hanno attraversato  (o più semplicemente nel linguaggio o nel costume).

Questo vale per i classici antichi quanto per i classici moderni. Se leggo l'Odissea leggo il testo d'Omero ma non posso dimenticare tutto quello che le avventure d'Ulisse sono venute a significare durante i secoli, e non posso non domandarmi se questi significati erano impliciti nel testo o se sono incrostazioni o deformazioni o dilatazioni. Leggendo Kafka non posso fare a meno di comprovare o di respingere la legittimità dell'aggettivo «kafkiano» che ci capita di sentire ogni quarto d'ora, applicato per dritto e per traverso. Se leggo Padri e figli di Turgenev o I demoni di Dostoevskij non posso fare a meno di pensare come questi personaggi hanno continuato a reincarnarsi fino ai nostri giorni.
La lettura d'un classico deve darci qualche sorpresa, in rapporto all'immagine che ne avevamo. Per questo non si raccomanderà mai abbastanza la lettura diretta dei testi originali scansando il più possibile bibliografia critica, commenti, interpretazioni. La scuola e l'università dovrebbero servire a far capire che nessun libro che parla d'un libro dice di più del libro in questione; invece fanno di tutto per far credere il contrario. C'è un capovolgimento di valori molto diffuso per cui l'introduzione, l'apparato critico, la bibliografia vengono usati come una cortina fumogena per nascondere quel che il testo ha da dire e che può dire solo se lo si lascia parlare senza intermediari che pretendano di saperne più di lui. Possiamo concludere che:

8. Un classico è un'opera che provoca incesantemente un pulviscolo di discorsi critici su di sé, ma continuamente se li scrolla di dosso.
Non necessariamente il classico ci insegna qualcosa che non sapevamo; alle volte vi scopriamo qualcosa che avevamo sempre saputo (o creduto di sapere) ma non sapevamo che l'aveva detto lui per primo (o che comunque si collega a lui in modo particolare). E anche questa è una sorpresa che dà molta soddisfazione, come sempre la scoperta d'una origine, d'una relazione, d'una appartenenza. Da tutto questo potremmo derivare una definizione del tipo:

9. I classici sono libri che quanto più si crede di conoscerli per sentito dire, tanto più quando si leggono davvero si trovano nuovi, inaspettati, inediti.

Naturalmente questo avviene quando un classico «funziona» come tale, cioè stabilisce un rapporto personale con chi lo legge. Se la scintilla non scocca, niente da fare: non si leggono i classici per dovere o per rispetto, ma solo per amore. Tranne che a scuola: la scuola deve farti conoscere bene o male un certo numero di classici tra i quali (o in riferimento ai quali) tu potrai in seguito riconoscere i «tuoi» classici. La scuola è tenuta a darti degli strumenti per esercitare una scelta; ma le scelte che contano sono quelle che avvengono fuori e dopo ogni scuola.
È solo nelle letture disinteressate che può accadere d'imbatterti nel libro che diventa il «tuo» libro. Conosco un ottimo storico dell'arte, uomo di vastissime letture, che tra tutti i libri ha concentrato la sua predilezione più profonda sul Circolo Pickwick, e a ogni proposito cita battute del libro di Dickens, e ogni fatto della vita lo associa con episodi pickwickiani. A poco a poco lui stesso, l'universo, la vera filosofia hanno preso la forma del Circolo Pickwick in un'identificazione assoluta. Giungiamo per questa via a un'idea di classico molto alta ed esigente:

10. Chiamasi classico un libro che si configura come equivalente dell'universo, al pari degli antichi talismani.
Con questa definizione ci si avvicina all'idea di libro totale, come lo sognava Mallarmé. Ma un classico può stabilire un rapporto altrettanto forte d'opposizione, d'antitesi. Tutto quello che Jean-Jacques Rousseau pensa e fa mi sta a cuore, ma tutto m'ispira un incoercibile desiderio di contraddirlo, di criticarlo, di litigare con lui. C'entra la sua personale antipatia su un piano temperamentale, ma per quello non avrei che da non leggerlo, invece non posso fare a meno di considerarlo tra i miei autori. Dirò dunque:

11. Il «tuo» classico è quello che non può esserti indifferente  e che ti serve per definire te stesso in rapporto e magari in contrasto con lui.
Credo di non aver bisogno di giustificarmi se uso il termine «classico» senza fare distinzioni d'antichità, di stile, d'autorità. (Per la storia di tutte queste accezioni del termine, si veda l'esauriente voce Classico di Franco Fortini nell'Enciclopedia Einaudi, vol. III). Quello che distingue il classico nel discorso che sto facendo è forse solo un effetto di risonanza che vale tanto per un'opera antica che per una moderna ma già con un suo posto in una continuità culturale. Potremmo dire:

12. Un classico è un libro che viene prima di altri classici; ma chi ha letto prima gli altri e poi legge quello, riconosce subito il suo posto nella genealogia.
A questo punto non posso più rimandare il problema decisivo di come mettere in rapporto la lettura dei classici con tutte le altre letture che classici non sono. Problema che si connette con domande come: «Perché leggere i classici anziché concentrarci su letture che ci facciano capire più a fondo il nostro tempo?» e «Dove trovare il tempo e l'agio della mente per leggere dei classici, soverchiati come siamo dalla valanga di carta stampata dell'attualità?».
Certo si può ipotizzare una persona beata che dedichi il «tempo-lettura» delle sue giornate esclusivamente a leggere Lucrezio, Luciano, Montaigne, Erasmo, Quevedo, Marlowe, il Discours de la Méthode, il Wilhelm Meister, Coleridge, Ruskin, Proust e Valéry, con qualche divagazione verso Murasaki o le saghe islandesi. Tutto questo senza aver da fare recensioni dell'ultima ristampa, né pubblicazioni per il concorso della cattedra, né lavori editoriali con contratto a scadenza ravvicinata. Questa persona beata per mantenere la sua dieta senza nessuna contaminazione dovrebbe astenersi dal leggere i giornali, non lasciarsi mai tentare dall'ultimo romanzo o dall'ultima inchiesta sociologica. Resta da vedere quanto un simile rigorismo sarebbe giusto e proficuo. L'attualità può essere banale e mortificante, ma è pur sempre un punto in cui situarci per guardare in avanti o indietro. Per poter leggere i classici si deve pur stabilire «da dove» li stai leggendo, altrimenti sia il libro che il lettore si perdono in una nuvola senza tempo. Ecco dunque che il massimo rendimento della lettura dei classici si ha da parte di chi ad essa sa alternare con sapiente dosaggio la lettura d'attualità. E questo non presume necessariamente una equilibrata calma interiore: può essere anche il frutto d'un nervosismo impaziente, d'una insoddisfazione sbuffante.
Forse l'ideale sarebbe sentire l'attualità come il brusio fuori della finestra, che ci avverte degli ingorghi del traffico e degli sbalzi meteorologici, mentre seguiamo il discorso dei classici che suona chiaro e articolato nella stanza. Ma è ancora tanto se per i più la presenza dei classici s'avverte come un rimbombo lontano, fuori dalla stanza invasa dall'attualità come dalla televisione a tutto volume. Aggiungiamo dunque:

13. È classico ciò che tende a relegare l'attualità al rango di rumore di fondo, ma nello stesso tempo di questo rumore di fondo non può fare a meno.

14. È classico ciò che persiste come rumore di fondo anche là dove l'attualità più incompatibile fa da padrona.
Resta il fatto che il leggere i classici sembra in contraddizione col nostro ritmo di vita, che non conosce i tempi lunghi, il respiro dell'otium umanistico; e anche in contraddizione con l'eclettismo della nostra cultura che non saprebbe mai redigere un catalogo della classicità che fa al caso nostro.
Erano le condizioni che si realizzavano in pieno per Leopardi, data la sua vita nel paterno ostello, il culto dell'antichità greca e latina e la formidabile biblioteca trasmessigli dal padre Monaldo, con annessa la letteratura italiana al completo, più la francese, ad esclusione dei romanzi e in genere delle novità editoriali, relegate tutt'al più al margine, per conforto della sorella («il tuo Stendhal» scriveva a Paolina). Anche le sue vivissime curiosità scientifiche e storiche, Giacomo le soddisfaceva su testi che non erano mai troppo up to date: i costumi degli uccelli in Buffon, le mummie di Federico Ruysch in Fontenelle, il viaggio di Colombo in Robertson.
Oggi un'educazione classica come quella del giovane Leopardi è impensabile, e soprattutto la biblioteca del conte Monaldo è esplosa. I vecchi titoli sono stati decimati ma i nuovi sono moltiplicati proliferando in tutte le letterature e le culture moderne. Non resta che inventarci ognuno una biblioteca ideale dei nostri classici; e direi che essa dovrebbe comprendere per metà libri che abbiamo letto e che hanno contato per noi, e per metà libri che ci proponiamo di leggere e presupponiamo possano contare. Lasciando una sezione di posti vuoti per le sorprese, le scoperte occasionali.
M'accorgo che Leopardi è il solo nome della letteratura italiana che ho citato. Effetto dell'esplosione della biblioteca. Ora dovrei riscrivere tutto l'articolo facendo risultare ben chiaro che i classici servono a capire chi siamo e dove siamo arrivati e perciò gli italiani sono indispensabili proprio per confrontarli agli stranieri, e gli stranieri sono indispensabili proprio per confrontarli agli italiani.
Poi dovrei riscriverlo ancora una volta perché non si creda che i classici vanno letti perché «servono» a qualcosa. La sola ragione che si può addurre è che leggere i classici è meglio che non leggere i classici.

E se qualcuno obietta che non val la pena di far tanta fatica, citerò Cioran (non un classico, almeno per ora, ma un pensatore contemporaneo che solo ora si comincia a tradurre in Italia): «Mentre veniva preparata la cicuta, Socrate stava imparando un'aria sul flauto. “A cosa ti servirà?” gli fu chiesto. “A sapere quest'aria prima di morire”».

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EL ENCUENTRO EN LA VICTORIA



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UN ENCUENTRO EN LA VICTORIA

Autor: ©Giuseppe Isgró C.

Del libro: La Victoria

Capítulo I

Me encontraba un día, en una fuente de aguas tranquilas, cristalinas, cuando se me acercó un Venerable hombre, vestido a la antigua usanza, con bata blanca, larga, pelo y barba que alguna vez fueron de color pelirrojo y un báculo en la mano derecha.

Concentró sus ojos en los míos; su mirada era profunda, serena y apacible.

Con voz suave y afectiva, me dijo:

-“Hola, hijo, como estás”-.

–Bien, -le contesté-; y, ¿usted?

–Por aquí andamos; -fue su respuesta-, mientras me sonreía.

-¿Dónde estamos?, -le pregunté al Venerable hombre-.

-Este sitio es conocido como La Victoria; -me contestó-. –¿Qué haces por estos lados?

-Salí esta mañana, temprano, con el coche, a dar un paseo; luego, al llegar a esta zona, me paré a contemplar la belleza de los araguaneyes y decidí caminar un poco y la verdad que, absorto en mis reflexiones, caminé por lo menos durante dos horas, hasta llegar aquí. Desconocía este hermoso lugar. Y, usted, -¿vive por aquí cerca? -le pregunté-.

Un poco más arriba, en esa colina boscosa. Hace algunos años, -relata el Venerable hombre- decidí retirarme de la agitada vida ejecutiva en que me desenvolvía profesionalmente, como abogado, en la ciudad de Quebec, Canadá, aunque he viajado por diversos países asesorando a incontables líderes. Construí la casa, en esta zona tropical, con la idea de pasar aquí los meses de invierno. Me dedico al estudio de la vida, a la meditación y a cultivar mi jardín y de vez en cuando, a escribir mis reflexiones, las cuales, algún día, habrán de ser publicadas para esparcir un poco la luz que he podido vislumbrar en mis estudios metafísicos-espirituales.

-¿Quieres tomar un café? –Me preguntó el Venerable hombre-. Lo he traído de Caripe El Guácharo; es de los más exquisitos que he probado.

-Sí, con gusto se lo acepto; -le contesté-.

Nos fuimos caminando por un sendero rodeado de árboles cargados de mangos, aguacates, naranjas y una hilera de cayenas de diversos colores. A lo lejos, el ruido de la brisa se oía apaciblemente. Todo era quietud, armonía y paz. Pero, sobre todo, lo que más me impresionaba era la apacibilidad y el sosiego del Venerable hombre de La Victoria. Emanaba de él un flujo de fuerza que, en su presencia, me sentía con un poder y una seguridad nunca antes experimentados. Fuerzas bienhechoras se iban apoderando de mí y aquella paz y relax que buscaba en la mañana, al salir a dar un paseo, sin percatarme de ello, las estaba experimentando ya.

Después de unos quince minutos de caminar, llegamos a la casa del Venerable hombre. Su aspecto exterior humilde estaba lejos de dejar entrever lo que segundos después habría de asombrarme con lo que encontré en el interior.

Al entrar, en la casa, una joven de unos veinte años saludó al Venerable hombre.

-¡Hola, abuelo!, ¿cómo estás?

–Bien, hija, -contestó el Venerable hombre-. -Prepara un poco de café, Lucía, mientras conversamos un poco, adentro.

-Por cierto, te presento a Santiago, quien ha llegado paseando hasta La Victoria.

Después de la presentación, entramos en la biblioteca del Venerable hombre. Un salón grande, lleno de estantes de libros por todas partes, lo cual hacía inimaginable dicho cuadro desde el exterior. Algunos cuadros al óleo de morichales y de personajes históricos, presentaban un ambiente acogedor. En un rincón se encontraban diversos retratos de Tagore, Gandhi, Cicerón, Séneca, Ibn Arabi y un dibujo de Don Quijote y Sancho Panza. En un pequeño cuadro, podía leerse: -“Lo que Alá quiera. Nada se le asemeja”-.

-Le felicito por este inmenso tesoro que usted tiene aquí, -le dije al Venerable hombre-. -¿Cuáles son los temas de su interés?

A lo cual, me contestó: -Como usted puede ver, Santiago, -y me invitó a recorrer los estantes- aquí hay libros de variados temas: clásicos de todos los países y épocas, desde los Vedas, los Upanishads, el Mahabaratha, los libros de Confucio, El Tao te King, de Lao Tse, el Poema de Gilgamesh, el Código de Amurabí, autores griegos, como Homero y Hesiodo. Se encuentran las obras completas de Euclides, Platón, Aristóteles, Teofrasto, Demetrio de Falereo, de los Presocráticos, Epicteto, Plutarco, etcétera; de los latinos, autores como Séneca, Cicerón, -que son mis preferidos-, Julio César, Tito Livio, Dionisio de Halicarnaso, Marco Aurelio, así como libros de Psicología, Gerencia, Sufismo, Yoga, ensayos, filosofía, parapsicología, hermetismo, El Quijote, libros de economía, filosofía, etcétera, en fin, un poco de todo lo que es preciso conocer para poder entender el significado de la vida: de dónde venimos, por qué estamos aquí y hacía dónde vamos, sin lo cual, la vida no tendría sentido, sobre todo por el gran afán a que está sometido el ser humano en la agitada vida moderna.

Nos sentamos en sendas butacas y nos entretuvimos conversando de temas diversos. Al poco rato, entró Lucía con dos tazas de oloroso café y unos biscochos, que degustamos con agrado en una amena e interesante conversación. Al fondo, podía oírse una suave música de Beethoven.

Pasamos cerca de una hora conversando de sobre la Atlántida, Egipto, los griegos, de Homero, de los sufíes, del budismo zen, los poderes del espíritu, meditación, etcétera, después de lo cual, le hice una pregunta directa.

-Seguramente, usted ha desarrollado alguna técnica de meditación y algún método de resolución de situaciones, en la vida, que me quisiera explicar, ya que, según observo, para tener usted una serenidad tan acentuada y una fortaleza física a la edad que imagino que usted debe tener, -cerca de noventa años- es porque ha encontrado en su larga experiencia algún secreto que quizás quisiera compartir conmigo.

Santiago, -me dijo el Venerable hombre, si vuelves a visitarme otro día, quizá te cuente algo que te pueda servir. Empero, antes de que te vayas, te haré entrega de unos apuntes que hace ya muchos años, en una época en que yo andaba a la búsqueda de sosiego y tratando de encontrarle sentido a la vida, un Venerable hombre que, en una edad similar a la mía, a su vez me entregara y cuya práctica asidua me permitió domar la mente, encarrilar mi vida y poner bajo control los hilos del destino. Son veintidós manuscritos, y una meditación diaria, –continuó diciendo el Venerable hombre, que si bien son ya un poco antiguos, podrás copiarlos de nuevo y si pones en práctica las técnicas que contienen, darás a tu vida un esplendor que habrá de sorprenderte agradablemente.

-Una vez que los hayas probado con total y absoluta satisfacción de tu parte, -me dijo, ponlos en limpio, en forma de libro y publícalo para que su mensaje llegue a mayor número de personas. Hacía tiempo que esperaba a alguien a quien confiarle este legado y creo que hoy, al llegar aquí, en la forma en que lo has hecho, tus pasos han sido dirigidos por Aquel que todo lo sabe y puede, por la Ley Cósmica, y en cuyos planes universales, todos somos sus instrumentos.

Me despedí del Venerable hombre y de su adorable nieta, sintiendo dentro de mí fuerzas desconocidas hasta entonces que preanunciaban grandes cambios en mi vida.

En los días siguientes, aparté una hora diaria, antes de dormirme, y leí y releí, todos los manuscritos, de la siguiente manera: En primer lugar copié la Meditación diaria en un cuaderno, el cual leí durante veintidós noches y mañanas seguidas, tal como lo indicaban las instrucciones de la misma.

Una nota al pie de página mencionaba que si yo la transcribía en un cuaderno, el hecho de hacerlo, grabaría en mi ordenador mental las instrucciones y me sería más fácil desarrollar, en mi personalidad, las cualidades y condiciones que formaban parte de los objetivos implícitos en la misma.

De los veintidós manuscritos, cada lunes, a las once en punto de la noche, copiaba uno en el cuaderno, y durante el resto de la semana, a la misma hora, lo leía y meditaba, siguiendo las fáciles y efectivas técnicas e indicaciones al inicio del mismo.

Cuatro semanas después de leer durante veintidós días seguidos, en la noche y en la mañana, la meditación diaria, comenzaron a manifestarse en mi vida una serie de cambios positivos que me dejaban asombrado a mi mismo, pero, también, los miembros de mi familia y a mis amistades; sobre todo mi semblante comenzó a ser más apacible; volví a sonreír desde el interior; mi estado anímico era de contento; me sentía más seguro de mi mismo; comencé a confiar más en la gente, en la vida y a vislumbrar el sentido de mi misión en la vida –percibía cosas que antes me pasaban desapercibidas, a pesar de haber estado siempre allí. Sentía fluir en mí una nueva corriente vivificadora de prosperidad, de felicidad, de alegría de vivir. Mi entusiasmo y amor por la vida y por mi familia, por mi trabajo y por las personas, crecía día a día. En aproximadamente dos meses había logrado muchas de las cosas en las cuales había soñado desde hacía años. Había dado un paso sorprendente en el camino de la autorrealización.

Efectivamente, pude comprobar que me fue relativamente muy fácil desarrollar las aptitudes y actitudes a nivel físico, mental, emocional, espiritual y en diversos aspectos de mi vida, como el financiero, que comenzó a mejorar casi inmediatamente, así como, surgieron nuevas oportunidades que comencé a aprovechar, casi sin esfuerzo de mi parte.

Transcurría el año de 1967 y mi vida había encontrado un sendero que habría de conducirme a cooperar en forma más efectiva en el plan divino que el Supremo Hacedor, en algún momento, había diseñado para mí.

Tres meses después volví a aquel lugar donde había encontrado al Venerable hombre de La Victoria y allí estaba la fuente que él dijo llamarse La Victoria; empero, cuando traté de encontrar el camino para llegar a la casa donde amablemente me ofreció un delicioso café, preparado por su nieta Lucía, no logré encontrarlo, pese a haber recorrido durante un par de horas por los alrededores. Pregunté a varias personas para ver si podían indicarme como llegar a la casa del Venerable hombre y cual fue mi sorpresa, nadie lo conocía.

Empero, después de tanto buscar, volví a encontrar la casa donde vivía el Venerable hombre de La Victoria, pero se encontraba abandonada. Su aspecto indicaba que debía encontrarse en ese estado un lapso mayor del que mediaba con el encuentro de aquel ser extraordinario. Es sorprendente como los inmuebles solos acusan el paso del tiempo en mayor grado que los que son habitados. Si no fuera por los manuscritos pensaría que el encuentro no fue más que un simple sueño. -¿O se trata, acaso de un sueño combinado con un fenómeno de aporte? Personalmente, no lo creo. El encuentro fue muy vívido y real. El aromático café servido por Lucía estaba exquisito. Durante varios años volví al lugar varias veces, la casa seguía sola. La última vez que volví, no la pude ubicar y sin tener tiempo suficiente para seguir buscándola, me fui. Ahora, vivo muy lejos de aquella zona, en otro continente; han transcurrido muchos años y después de tanto tiempo es poco probable que vuelva allí; pero, los manuscritos y la meditación diaria obran en mi poder, me han transformado y han enriquecido mi vida.

Durante más de treinta y cinco años he puesto en práctica las diversas variantes de los ejercicios, afirmaciones y meditaciones que contienen los manuscritos y la meditación diaria y cada vez que los pongo en práctica, experimentos los mismos beneficios. Ahora, ellos se encuentran en el libro que usted tiene en sus manos; espero que les sean tan útiles como los han sido para mí.

Su contenido es eminentemente práctico; no hay teorías superfluas. Si lleva a cabo los ejercicios que contienen, es probable que, gradualmente, se vaya efectuando la transmutación alquímica de su ser sintonizándose con los elevados resultados existenciales, los cuales, por añadidura, al ser creados a nivel mental, se van manifestando en su propia vida, oportunamente.

Sobre todo, con estos ejercicios, me percaté, cuando el Venerable hombre me entregó los manuscritos, de que se dispone de un método para domar la mente y ejercer un pleno dominio sobre la vida en general y, por ende, sobre el destino y controlar, cuando eventualmente se presenten, todas las situaciones, manteniendo un perfecto equilibrio físico, mental, emocional, espiritual y financiero.

El Venerable hombre de La Victoria me comentaba que todo se puede lograr en la vida si se siembra la respectiva semilla por medio de correctas decisiones acordes con la propia y elevada auto-estima y dignidad personal, desarrollando el convencimiento de que sí se puede hacer, por medio de las afirmaciones, las visualizaciones y meditaciones, la experimentación de un estado emocional acorde al momento de ser logrados los respectivos resultados y la practica del desapego, es decir, dejar encargada a la mente psiconsciente del logro, y además, se espera el tiempo necesario haciendo, mientras tanto, todo lo que se requiere, según el caso o los objetivos por alcanzar.

Estas técnicas funcionan, me decía una y otra vez el Venerable hombre de La Victoria; luego, agregaba: -las he probado por más de cincuenta años y quien, a su vez me las entregó, habría hecho otro tanto, aseverando que eran efectivas, si yo seguía fielmente las instrucciones y las ponía en práctica con expectativas positivas.

Desde que en 1967, el Venerable hombre me hiciera entrega de los manuscritos, han transcurrido un poco más de de treinta y cinco años, durante los cuales yo también he puesto en práctica las diversas variantes de los ejercicios, afirmaciones y meditaciones que contienen, y cada vez que me ejercito con ellos, experimento los mismos beneficios. Ahora, ellos se encuentran en el libro que usted tiene en sus manos; espero que les sean tan útiles como los han sido para todos los que hemos aplicado las enseñanzas del Venerable hombre de La Victoria.

Él me repetía constantemente: -“¡Tú puedes si crees que puedes hacerlo! ¡Hazlo y tendrás el poder!

Recuerdo que ese día el Venerable hombre me dijo: -ejercer el poder con que la naturaleza de las cosas ha dotado a cada ser, cultivando los dones inherentes y aprendiendo todo lo que se pueda de sí y del vasto universo del que se forma parte, es una manera efectiva de ser cada día más feliz. Luego, cuando me despedí de él, expresó: -“¡Que cada día brille más y mejor tu luz interior!”.- Adelante.

Capítulo 2

Meditación diaria

Es lunes en la noche, son las once en punto.

Me dispongo a copiar textualmente, en el cuaderno que he dispuesto para ello, el manuscrito identificado con el título:

Meditación diaria

Dice así:

Afirme, en la mañana y en la noche, antes de dormir, durante veintidós días; luego, cada vez que lo desee, esta poderosa fórmula de programación mental positiva y descubra cómo, con facilidad, van ocurriendo cosas maravillosas en su vida:

MEDITACIÓN DIARIA

Afirma, en la mañana y en la noche, antes de dormir, durante veintidós días; luego, cada vez que lo desees, esta poderosa fórmula de programación mental positiva y descubre cómo, con facilidad, van ocurriendo cosas maravillosas en tu vida. Al encender la luz en la mente se ilumina la propia existencia y todo en derredor vibra al unísono y con el mismo sentimiento de felicidad y bienestar, interrelacionándose por la ley de afinidad.

1. -Entro en el nivel de mi mente psiconsciente, en el centro de control de mi piloto mental automático, donde todo va bien, siempre, contando de tres a uno: Tres, dos, uno.

Ø Ahora, estoy ya en el nivel de mi mente psiconsciente, en el centro de control de mi piloto mental automático, donde todo va bien, siempre.

Ø Voy a permanecer en el nivel de mi mente psiconsciente, en el centro de control de mi piloto mental automático, donde todo va bien, siempre, durante quince minutos y voy a programar los siguientes efectos positivos, los cuales perduran, cada vez mejor, hasta que vuelva a realizar este acceso y programación mental:

Ø Todo va bien, siempre, en todos los aspectos de mi vida, cada día mejor. (Tres veces). –Imagínalo-.

Ø Todo va bien en mi trabajo; cada día logro mejores niveles de efectividad, prosperidad, riqueza, abundancia y bienestar. (Imagínalo).

2. Formo una unidad cósmica perfecta con el Creador Universal, -ELOÍ. (Diez veces, con los ojos cerrados). Hoy se expresa en mí la Perfección universal de la Vida, del amor, de la luz, de la sabiduría, del perdón, de la percepción de la verdad, de la aceptación de la realidad, de la justicia, de la igualdad, de la compensación, de la fortaleza, de la templanza, de la belleza, del equilibrio, de la armonía, de la salud, de la prosperidad, de la riqueza, de la abundancia, del servicio y de la provisión en todos los aspectos de mi vida.

3. -Cada día, en todas formas y condiciones, mi cuerpo y mi mente funcionan mejor y mejor. La consciencia de mi conexión permanente e indisoluble con el Creador Universal, -ELOÍ-, restablece y mantiene en mí, diariamente, durante las veinticuatro horas del día, un perfecto estado de salud a nivel físico, mental, emocional y espiritual. Gracias, Creador Universal, por darme un cuerpo perfecto, saludable, lleno de energía. Aquí y ahora, me siento en perfecto equilibrio de salud, a nivel físico, mental, emocional y espiritual.

4. Afronto y resuelvo bien toda situación que me compete, siempre.

5. Todo tiene solución, en todas las situaciones de mi vida.

6. El Creador Universal, -ELOÍ-, es en mí, cada día mejor, en todos los aspectos de mi vida, fuente de amor, luz, sabiduría, éxito, riqueza, prosperidad, abundancia y armonía.

7. Permito que las leyes universales de la Vida, del amor, de la luz, de la sabiduría, del perdón, de la percepción de la verdad, de la aceptación de la realidad, de la justicia, de la igualdad, de la compensación, de la fortaleza, de la templanza, de la belleza, del equilibrio, de la armonía, de la salud, de la prosperidad, de la riqueza, de la abundancia, del servicio y de la provisión actúen bien en el plan de mi vida.

8. Tengo prosperidad y poder. Cada día enriquezco mejor mi vida a través del servicio efectivo, del amor y de la práctica de todas las virtudes.

9. Mi dignidad personal me lleva a realizar las cosas que me competen con la máxima perfección posible.

10. Cada día, en todas formas y condiciones, en todos los aspectos de mi vida, estoy mejor y mejor a nivel físico, mental, emocional, espiritual y financiero.

11. Actúo con templanza, serenidad, autodominio y perfecto equilibrio en todo. Conservo plena autonomía y control sobre todas mis facultades físicas, mentales, emocionales, intelectuales y espirituales. Hecho está. (Visualizar un escudo protector de luz que te envuelve y protege; -una pirámide-).

12. Tengo fortaleza, valor, confianza y fe suficiente para triunfar y alcanzar todas mis metas, de acuerdo con la voluntad del Creador Universal, -ELOÍ-, y en armonía con sus planes cósmicos. Soy inmune e invulnerable a las influencias y sugestiones del medio ambiente y de cualquier persona a nivel físico, mental, emocional y espiritual, en las dimensiones objetivas y subjetivas y en cualesquiera otras en que sea requerido.

13. El orden universal de la Vida, del amor, de la luz, de la sabiduría, del perdón, de la percepción de la verdad, de la aceptación de la realidad, de la justicia, de la igualdad, de la compensación, de la fortaleza, de la templanza, de la belleza, del equilibrio, de la armonía, de la salud, de la prosperidad, de la riqueza, de la abundancia, del servicio y de la provisión se establece en mi vida, en todos mis asuntos y en las personas interrelacionadas, aquí y ahora. Hecho está.

14. Asumo la responsabilidad de mis actos y cumplo bien todos mis compromisos, siempre oportunamente, de acuerdo con el orden cósmico.

15. El Creador Universal, -ELOÍ-, nos da abundancia y armonía en el eterno presente. Vivo en abundancia y en armonía perfectas, aquí, ahora y siempre.

16. El Creador Universal, -ELOÍ-, se está ocupando de todo, en todos los aspectos de mi vida, y se expresa en mí conciencia intuitiva por medio de los sentimientos en correspondencia con los valores universales.

17. Gracias, Creador Universal, -ELOÍ-, por esta vida maravillosa. Que Tu Inteligencia Infinita, Amor, Sabiduría, Justicia, Luz, y Poder Creador guíen, adecuadamente, todas mis decisiones y acciones, ahora y siempre. Gracias, Eloí, por este día maravilloso.

18. El Creador Universal, -ELOÍ-, nos proteja, aquí y en cualquier lugar, ahora y siempre. (Tres veces).

19. Siempre espero lo mejor, de acuerdo con la voluntad del Creador Universal, -ELOÍ-, y la Ley Cósmica, en armonía con todos.

20. Gracias, Creador Universal; todo va bien en todos los aspectos de mi vida, a nivel físico, mental, emocional y espiritual. Gracias, Eloí, todo va bien en mis practicas espirituales y en mi relación Contigo; Tú y yo formamos una unidad perfecta, armónica, aquí y ahora, en el eterno presente. Yo soy Tú, Tú eres yo. Te amo.

21. Voy a realizar –obtener o resolver- (mencionar), antes del: (fecha), de acuerdo al orden divino y en armonía con todos. (Si se trata de varios objetivos, anótelos y haga la afirmación y visualización con cada uno de ellos. Imagínelo concluido satisfactoriamente sin imponer canal alguno de manifestación.)

22. Tengo serenidad y calma imperturbable. Soy impasible frente a todo y a todos. No tengo temor a nada, a nadie ni de nadie en ningún nivel físico, mental, emocional, espiritual y financiero. Dentro de mí vibra la seguridad total. Tengo completa confianza en la vida y en mi propia capacidad de resolver situaciones y alcanzar los resultados satisfactorios que preciso, en cada caso, siempre.

A continuación anoté la fecha: Lunes 12 de agosto de 1967. Luego, tal como me lo indicó el Venerable hombre, anoté la fecha que correspondía veintidós días después: 03 de septiembre de 1967.

Acto seguido, me senté cómodamente, tomé tres respiraciones profundas y realicé la meditación.

Luego, cada noche, durante veintidós días, a las once en punto, me iba a mi cuarto, daba indicaciones de no ser interrumpido durante veinte minutos y realizaba la meditación del día, la cual, siempre complementaba con la lectura breve de uno de los libros de cabecera que siempre suelo tener en mi mesa de noche.

Iba notando, día a día como emergía de mi interior una nueva y desconocida fortaleza, seguridad, estado de ánimo contento, actitud más decidida, optimismo frente a la vida y a las situaciones; comencé a llevarme mejor en las relaciones con las demás personas, a ser más comedido en todo y sobre todo comenzaba a tener conciencia de cosas que antes me solían pasar desapercibidas.

Cabe destacar que, en el punto número veintiuno de la meditación, había anotado siete objetivos que desde hacía tiempo quería realizar y para mi sorpresa, treinta días después de haber terminado de efectuar la meditación del manuscrito número veintidós comencé a observar como, en forma aparentemente casual se iban manifestando la resultados de cada uno de ellos hasta que, algunos meses después, antes de la fechas previstas, los había realizado todos, menos dos, por lo cual, me senté y volví a anotar, en una hoja de mi cuaderno, otros diez objetivos, encabezados por los dos pendientes de la lista anterior, les puse la fecha tope a cada uno, antes de la cual debían ser logrados, para seguir visualizando, su logro, periódicamente.

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lunes, 19 de agosto de 2013

Perché leggere i classici, Italo Calvino



Perché leggere i classici
Italo Calvino


Edizioni di riferimento
Italo Calvino, "Italiani, vi esorto ai classici", «L'Espresso», 28 giugno 1981, pp. 58-68.
Italo Calvino, Perché leggere i classici, Oscar Mondadori, Milano 1995


Cominciamo con qualche proposta di definizione.

1. I classici sono quei libri di cui si sente dire di solito:
«Sto rileggendo...» e mai «Sto leggendo...»

Questo avviene almeno tra quelle persone che si suppongono «di vaste letture»; non vale per la gioventù, età in cui l'incontro col mondo, e coi classici come parte del mondo, vale proprio in quanto primo incontro.
Il prefisso iterativo davanti al verbo «leggere» può essere una piccola ipocrisia da parte di quanti si vergognano d'ammettere di non aver letto un libro famoso. Per rassicurarli basterà osservare che per vaste che possano essere le letture «di formazione» d'un individuo, resta sempre un numero enorme d'opere fondamentali che uno non ha letto.
Chi ha letto tutto Erodoto e tutto Tucidide alzi la mano. E Saint-Simon? E il Retz? Ma anche i grandi cicli romanzeschi dell'Ottocento sono più nominati che letti. Balzac in Francia si comincia a leggerlo a scuola, e dal numero delle edizioni in circolazione si direbbe che si continua a leggerlo anche dopo. Ma in Italia se si facesse un sondaggio Doxa temo che Balzac risulterebbe agli ultimi posti. Gli appassionati di Dickens in Italia sono una ristretta élite di persone che quando s'incontrano si mettono subito a ricordare personaggi e episodi come di gente di loro conoscenza. Anni fa Michel Butor, insegnando in America, stanco di sentirsi chiedere di Emile Zola che non aveva mai letto, si decise a leggere tutto il ciclo dei Rougon-Macquart. Scoperse che era tutto diverso da come credeva: una favolosa genealogia mitologica e cosmogonica, che descrisse in un bellissimo saggio.
Questo per dire che il leggere per la prima volta un grande libro in età matura è un piacere straordinario: diverso (ma non si può dire maggiore o minore) rispetto a quello d'averlo letto in gioventù. La gioventù comunica alla lettura come a ogni altra esperienza un particolare sapore e una particolare importanza; mentre in maturità si apprezzano (si dovrebbero apprezzare) molti dettagli e livelli e significati in più. Possiamo tentare allora quest'altra formula di definizione:

2. Si dicono classici quei libri che costituiscono una ricchezza per chi li ha letti e amati; ma costituiscono una ricchezza non minore per chi si riserba la fortuna di leggerli  per la prima volta nelle condizioni migliori per gustarli.
Infatti le letture di gioventù possono essere poco proficue per impazienza, distrazione, inesperienza delle istruzioni per l'uso, inesperienza della vita. Possono essere (magari nello stesso tempo) formative nel senso che danno una forma alle esperienze future, fornendo modelli, contenitori, termini di paragone, schemi di classificazione, scale di valori, paradigmi di bellezza: tutte cose che continuano a operare anche se del libro letto in gioventù ci si ricorda poco o nulla. Rileggendo il libro in età matura, accade di ritrovare queste costanti che ormai fanno parte dei nostri meccanismi interiori e di cui avevamo dimenticato l'origine. C'è una particolare forza dell'opera che riesce a farsi dimenticare in quanto tale, ma che lascia il suo seme. La definizione che possiamo darne allora sarà:

3. I classici sono libri che esercitano un'influenza particolare sia quando s'impongono come indimenticabili, sia quando si nascondono nelle pieghe della memoria  mimetizzandosi da inconscio collettivo o individuale.

Per questo ci dovrebbe essere un tempo nella vita adulta dedicato a rivisitare le letture più importanti della gioventù. Se i libri sono rimasti gli stessi (ma anch'essi cambiano, nella luce d'una prospettiva storica mutata) noi siamo certamente cambiati, e l'incontro è un avvenimento del tutto nuovo.
Dunque, che si usi il verbo «leggere» o il verbo «rileggere» non ha molta importanza. Potremmo infatti dire:
4. D'un classico ogni rilettura è una lettura di scoperta come la prima.

5. D'un classico ogni prima lettura è in realtà una rilettura.

La definizione 4 può essere considerata corollario di questa:

6. Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire.

Mentre la definizione 5 rimanda a una formulazione più esplicativa, come:

7. I classici sono quei libri che ci arrivano portando su di sé la traccia delle letture che hanno preceduto la nostra e dietro di sé la traccia che hanno lasciato nella cultura o nelle culture che hanno attraversato  (o più semplicemente nel linguaggio o nel costume).

Questo vale per i classici antichi quanto per i classici moderni. Se leggo l'Odissea leggo il testo d'Omero ma non posso dimenticare tutto quello che le avventure d'Ulisse sono venute a significare durante i secoli, e non posso non domandarmi se questi significati erano impliciti nel testo o se sono incrostazioni o deformazioni o dilatazioni. Leggendo Kafka non posso fare a meno di comprovare o di respingere la legittimità dell'aggettivo «kafkiano» che ci capita di sentire ogni quarto d'ora, applicato per dritto e per traverso. Se leggo Padri e figli di Turgenev o I demoni di Dostoevskij non posso fare a meno di pensare come questi personaggi hanno continuato a reincarnarsi fino ai nostri giorni.
La lettura d'un classico deve darci qualche sorpresa, in rapporto all'immagine che ne avevamo. Per questo non si raccomanderà mai abbastanza la lettura diretta dei testi originali scansando il più possibile bibliografia critica, commenti, interpretazioni. La scuola e l'università dovrebbero servire a far capire che nessun libro che parla d'un libro dice di più del libro in questione; invece fanno di tutto per far credere il contrario. C'è un capovolgimento di valori molto diffuso per cui l'introduzione, l'apparato critico, la bibliografia vengono usati come una cortina fumogena per nascondere quel che il testo ha da dire e che può dire solo se lo si lascia parlare senza intermediari che pretendano di saperne più di lui. Possiamo concludere che:

8. Un classico è un'opera che provoca incesantemente un pulviscolo di discorsi critici su di sé, ma continuamente se li scrolla di dosso.
Non necessariamente il classico ci insegna qualcosa che non sapevamo; alle volte vi scopriamo qualcosa che avevamo sempre saputo (o creduto di sapere) ma non sapevamo che l'aveva detto lui per primo (o che comunque si collega a lui in modo particolare). E anche questa è una sorpresa che dà molta soddisfazione, come sempre la scoperta d'una origine, d'una relazione, d'una appartenenza. Da tutto questo potremmo derivare una definizione del tipo:

9. I classici sono libri che quanto più si crede di conoscerli per sentito dire, tanto più quando si leggono davvero si trovano nuovi, inaspettati, inediti.

Naturalmente questo avviene quando un classico «funziona» come tale, cioè stabilisce un rapporto personale con chi lo legge. Se la scintilla non scocca, niente da fare: non si leggono i classici per dovere o per rispetto, ma solo per amore. Tranne che a scuola: la scuola deve farti conoscere bene o male un certo numero di classici tra i quali (o in riferimento ai quali) tu potrai in seguito riconoscere i «tuoi» classici. La scuola è tenuta a darti degli strumenti per esercitare una scelta; ma le scelte che contano sono quelle che avvengono fuori e dopo ogni scuola.
È solo nelle letture disinteressate che può accadere d'imbatterti nel libro che diventa il «tuo» libro. Conosco un ottimo storico dell'arte, uomo di vastissime letture, che tra tutti i libri ha concentrato la sua predilezione più profonda sul Circolo Pickwick, e a ogni proposito cita battute del libro di Dickens, e ogni fatto della vita lo associa con episodi pickwickiani. A poco a poco lui stesso, l'universo, la vera filosofia hanno preso la forma del Circolo Pickwick in un'identificazione assoluta. Giungiamo per questa via a un'idea di classico molto alta ed esigente:

10. Chiamasi classico un libro che si configura come equivalente dell'universo, al pari degli antichi talismani.
Con questa definizione ci si avvicina all'idea di libro totale, come lo sognava Mallarmé. Ma un classico può stabilire un rapporto altrettanto forte d'opposizione, d'antitesi. Tutto quello che Jean-Jacques Rousseau pensa e fa mi sta a cuore, ma tutto m'ispira un incoercibile desiderio di contraddirlo, di criticarlo, di litigare con lui. C'entra la sua personale antipatia su un piano temperamentale, ma per quello non avrei che da non leggerlo, invece non posso fare a meno di considerarlo tra i miei autori. Dirò dunque:

11. Il «tuo» classico è quello che non può esserti indifferente  e che ti serve per definire te stesso in rapporto e magari in contrasto con lui.
Credo di non aver bisogno di giustificarmi se uso il termine «classico» senza fare distinzioni d'antichità, di stile, d'autorità. (Per la storia di tutte queste accezioni del termine, si veda l'esauriente voce Classico di Franco Fortini nell'Enciclopedia Einaudi, vol. III). Quello che distingue il classico nel discorso che sto facendo è forse solo un effetto di risonanza che vale tanto per un'opera antica che per una moderna ma già con un suo posto in una continuità culturale. Potremmo dire:

12. Un classico è un libro che viene prima di altri classici; ma chi ha letto prima gli altri e poi legge quello, riconosce subito il suo posto nella genealogia.
A questo punto non posso più rimandare il problema decisivo di come mettere in rapporto la lettura dei classici con tutte le altre letture che classici non sono. Problema che si connette con domande come: «Perché leggere i classici anziché concentrarci su letture che ci facciano capire più a fondo il nostro tempo?» e «Dove trovare il tempo e l'agio della mente per leggere dei classici, soverchiati come siamo dalla valanga di carta stampata dell'attualità?».
Certo si può ipotizzare una persona beata che dedichi il «tempo-lettura» delle sue giornate esclusivamente a leggere Lucrezio, Luciano, Montaigne, Erasmo, Quevedo, Marlowe, il Discours de la Méthode, il Wilhelm Meister, Coleridge, Ruskin, Proust e Valéry, con qualche divagazione verso Murasaki o le saghe islandesi. Tutto questo senza aver da fare recensioni dell'ultima ristampa, né pubblicazioni per il concorso della cattedra, né lavori editoriali con contratto a scadenza ravvicinata. Questa persona beata per mantenere la sua dieta senza nessuna contaminazione dovrebbe astenersi dal leggere i giornali, non lasciarsi mai tentare dall'ultimo romanzo o dall'ultima inchiesta sociologica. Resta da vedere quanto un simile rigorismo sarebbe giusto e proficuo. L'attualità può essere banale e mortificante, ma è pur sempre un punto in cui situarci per guardare in avanti o indietro. Per poter leggere i classici si deve pur stabilire «da dove» li stai leggendo, altrimenti sia il libro che il lettore si perdono in una nuvola senza tempo. Ecco dunque che il massimo rendimento della lettura dei classici si ha da parte di chi ad essa sa alternare con sapiente dosaggio la lettura d'attualità. E questo non presume necessariamente una equilibrata calma interiore: può essere anche il frutto d'un nervosismo impaziente, d'una insoddisfazione sbuffante.
Forse l'ideale sarebbe sentire l'attualità come il brusio fuori della finestra, che ci avverte degli ingorghi del traffico e degli sbalzi meteorologici, mentre seguiamo il discorso dei classici che suona chiaro e articolato nella stanza. Ma è ancora tanto se per i più la presenza dei classici s'avverte come un rimbombo lontano, fuori dalla stanza invasa dall'attualità come dalla televisione a tutto volume. Aggiungiamo dunque:

13. È classico ciò che tende a relegare l'attualità al rango di rumore di fondo, ma nello stesso tempo di questo rumore di fondo non può fare a meno.

14. È classico ciò che persiste come rumore di fondo anche là dove l'attualità più incompatibile fa da padrona.
Resta il fatto che il leggere i classici sembra in contraddizione col nostro ritmo di vita, che non conosce i tempi lunghi, il respiro dell'otium umanistico; e anche in contraddizione con l'eclettismo della nostra cultura che non saprebbe mai redigere un catalogo della classicità che fa al caso nostro.
Erano le condizioni che si realizzavano in pieno per Leopardi, data la sua vita nel paterno ostello, il culto dell'antichità greca e latina e la formidabile biblioteca trasmessigli dal padre Monaldo, con annessa la letteratura italiana al completo, più la francese, ad esclusione dei romanzi e in genere delle novità editoriali, relegate tutt'al più al margine, per conforto della sorella («il tuo Stendhal» scriveva a Paolina). Anche le sue vivissime curiosità scientifiche e storiche, Giacomo le soddisfaceva su testi che non erano mai troppo up to date: i costumi degli uccelli in Buffon, le mummie di Federico Ruysch in Fontenelle, il viaggio di Colombo in Robertson.
Oggi un'educazione classica come quella del giovane Leopardi è impensabile, e soprattutto la biblioteca del conte Monaldo è esplosa. I vecchi titoli sono stati decimati ma i nuovi sono moltiplicati proliferando in tutte le letterature e le culture moderne. Non resta che inventarci ognuno una biblioteca ideale dei nostri classici; e direi che essa dovrebbe comprendere per metà libri che abbiamo letto e che hanno contato per noi, e per metà libri che ci proponiamo di leggere e presupponiamo possano contare. Lasciando una sezione di posti vuoti per le sorprese, le scoperte occasionali.
M'accorgo che Leopardi è il solo nome della letteratura italiana che ho citato. Effetto dell'esplosione della biblioteca. Ora dovrei riscrivere tutto l'articolo facendo risultare ben chiaro che i classici servono a capire chi siamo e dove siamo arrivati e perciò gli italiani sono indispensabili proprio per confrontarli agli stranieri, e gli stranieri sono indispensabili proprio per confrontarli agli italiani.
Poi dovrei riscriverlo ancora una volta perché non si creda che i classici vanno letti perché «servono» a qualcosa. La sola ragione che si può addurre è che leggere i classici è meglio che non leggere i classici.

E se qualcuno obietta che non val la pena di far tanta fatica, citerò Cioran (non un classico, almeno per ora, ma un pensatore contemporaneo che solo ora si comincia a tradurre in Italia): «Mentre veniva preparata la cicuta, Socrate stava imparando un'aria sul flauto. “A cosa ti servirà?” gli fu chiesto. “A sapere quest'aria prima di morire”».

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