viernes, 27 de septiembre de 2013

Reincarnazione e rinascita, Sri Aurobindo


Reincarnazione e rinascita

Sri Aurobindo


La rinascita

La teoria della rinascita è antica quasi quanto il pensiero stesso, e la sua origine è sconosciuta. Noi possiamo, a seconda delle nostre convinzioni pregresse, accettarla come frutto di una antica esperienza psicologica sempre rinnovabile e verificabile, e quindi vera, oppure non liquidarla come dogma filosofico e teoria ingegnosa, ma in entrambi i casi la dottrina, anche se è, con tutta evidenza, tanto antica quanto il pensiero umano stesso, è suscettibile di resistere fino a quando l’essere umano continuerà a pensare.

Anticamente la dottrina era conosciuta in Europa con il grottesco nome di trasmigrazione, che la associava nella mente occidentale con l’immagine comica dell’anima di Pitagora che migrava, come uno strano uccello di passo dalla umana forma divina nel corpo di un porcellino d’India o di un asino.

L’apprezzamento filosofico della teoria si espresse nell’ammirevole ma difficilmente padroneggiabile parola greca metempsicosis, che indica il reincarnarsi in un nuovo corpo da parte di una medesima individualità psichica. La lingua greca riesce a coniugare sempre felicemente pensiero e parola, e non poteva trovare un’espressione migliore; ma nella forzata traduzione inglese la parola diventa semplicemente lunga e pedante e senza serbare niente del suo sottile significato in greco, per cui deve essere abbandonata. "Reincarnazione" è adesso il termine comunemente usato, ma la parola rende un’idea soltanto grossolana o esteriore del fatto, suscitando perciò molti interrogativi. Io preferisco rebir", poiché il termine rende il senso del termine sanscrito, ampio e oggettivo, e tuttavia adeguato, punarjanma, "nascere di nuovo", che ci trasmette soltanto l’idea fondamentale che è l’essenza e la vita della dottrina.

Rebirth (rinascita) è per la mente moderna niente più che una speculazione teorica; non è mai stata provata dalla scienza moderna in modo tale da soddisfare la nuova mente critica, educata alla cultura scientifica. E d’altro canto non se ne è mai dimostrata la falsità, poiché la scienza moderna non sa niente di una possibile vita anteriore o posteriore dell’anima umana; in realtà essa non sa niente dell’anima né nulla può saperne, poiché i suoi confini sono il corpo, il cervello, i nervi, l’embrione, la sua formazione e il suo sviluppo.
Né la critica moderna dispone di alcun apparato tramite il quale la verità o la falsità della rinascita possa essere stabilita.  
In realtà la critica moderna, con tutte le sue pretese di investigazione scrupolosa e di certezze affidabili, non è una buona cercatrice della verità. Al di fuori della sfera di ciò che è immediatamente fisico essa è praticamente impotente: riesce a scoprire bene i dati, ma solo laddove i dati stessi abbiano già in se stessi la loro conclusione; non può in nessun modo essere sicura delle generalizzazioni che, a partire da questi dati, afferma con grande certezza nel corso di una generazione, per poi rinnegarle in quella successiva. Non può in alcun modo provare con certezza la verità o la falsità di un’asserzione storica incerta, e dopo un secolo di dispute non è stata neppure capace di dirci se Gesù sia o no esistito.
Come potrebbe quindi trattare un problema come la rinascita che appartiene alla psicologia e deve essere trattato secondo l’evidenza psicologica piuttosto  che quella fisica ? Le prove che di solito vengono portate dai sostenitori e dagli oppositori sono spesso deboli o insignificanti; anche quelle più plausibili  sono insufficienti a provare o confutare qualunque cosa. Un argomento spesso sostenuto in modo vincente nella confutazione è che noi non ricordiamo le nostre vite passate e quindi non ci sono vite passate. Fa sorridere un tale ragionamento fatto molto seriamente da chi pensa di essere qualcosa di più di un bambino intellettuale. L’argomentazione procede su base psicologica e tuttavia ignora la vera natura della nostra memoria ordinaria o fisica, che è tutto ciò che l’uomo ordinario può adoperare. Quanto ricordiamo delle nostre vite presenti, quelle che stiamo senza dubbio vivendo al momento ? La nostra memoria è di norma buona riguardo agli avvenimenti a noi vicini, ma diventa più vaga o meno precisa quando comincia ad allontanarsi dall’attualità; se si va ancora più indietro si ricordano soltanto alcuni punti salienti, infine – per quanto riguarda l’origine delle nostre vite – si cade in un vuoto assoluto. Ricordiamo forse anche semplicemente di esser stati dei bambini sul petto di nostra madre ?
E tuttavia quel momento dell’infanzia era – non soltanto nelle teorie buddiste – parte della nostra vita e appartiene allo stesso individuo che non riesce a ricordarlo allo stesso modo in cui non ricorda le vite passate. Tuttavia noi pretendiamo che questa memoria fisica – la memoria del rozzo cervello di un uomo che non riesce a ricordare la sua infanzia e ha perduto così tanto dei suoi primi anni – ricordi ciò che c’era prima dell’infanzia, prima della nascita, prima che essa stessa si formasse. E se non ci riesce dobbiamo dire: "la teoria della reincarnazione si dimostra falsa". La pretenziosa insipienza del nostro comune ragionamento umano non potrebbe mostrarsi meglio che in questo genere di argomentazioni. Ovviamente le nostre vite passate, sia come fatto che come stato o nei loro eventi ed immagini, possono essere ricordati soltanto da una memoria psichica il cui risveglio va oltre i limiti del fisico e risveglia impressioni ben diverse da quelle registrate dai movimenti cerebrali fisici sull’essere fisico.
Anche se avessimo la prova della memoria fisica delle vite passate o di un tale risveglio psichico, dubito comunque che la suddetta teoria verrebbe considerata dimostrata. Oggi noi abbiamo molti di questi esempi sostenuti con sicurezza, sebbene senza quell’apparato di evidenza verificata e scrupolosamente presa in esame che dà peso ai risultati della ricerca scientifica; lo scettico li considererà sempre come mera finzione ed immaginazione, a meno che non siano confermati da una solida base di evidenza. Persino se i fatti sostenuti fossero dimostrati veri, c’è la possibilità di affermare che non si tratta davvero di ricordi ma di fatti noti alla persona che li sostiene tramite semplici mezzi fisici o che gli sono stati suggeriti da altri e vengono contrabbandati per memorie di reincarnazione o ingannando consapevolmente gli altri o per via di un auto–inganno e auto–allucinazione.
Anche supponendo che l’evidenza fosse troppo forte e non suscettibile di obiezioni, così da non poter essere sospettata degli inganni suddetti, si potrebbe non accettarla come prova di reincarnazione, e la mente potrebbe escogitare un centinaio di spiegazioni teoriche per questi fatti.
Il pensiero e la ricerca moderna hanno introdotto questo dubbio riguardante tutte le teorie e le generalizzazioni psichiche.
Sappiamo ad esempio che riguardo al fenomeno della scrittura automatica o della comunicazione da parte dei morti si discute se il fenomeno provenga dall’esterno, da menti disincarnate o dall’interno, dalla coscienza subliminale; o se la comunicazione sia reale e provenga direttamente dalla personalità disincarnata, o sia il risalire in superficie di una impressione telepatica che proveniva dalla mente della persona allora in vita, ma rimasta nel profondo della nostra mente subliminale. Lo stesso genere di dubbio può essere opposto alle prove della memoria di reincarnazione. Si potrebbe sostenere che esse dimostrano il potere di una certa misteriosa facoltà in noi, una coscienza che può avere una conoscenza inesplicabile di eventi passati, ma che questi eventi potrebbero appartenere a personalità diverse dalla nostra e che l’attribuzione che ne facciamo alla nostra personalità in vite passate è una immaginazione, un’allucinazione o un esempio di quell’auto–appropriazione di cose ed esperienze percepite ma non nostre, che è uno dei fenomeni comprovati di errore mentale. Molto potrebbe essere dimostrato dall’abbondanza di tali prove, ma non per lo scettico e tanto meno a rinascita.
Certamente, se esse fossero sufficientemente ampie, esatte, dettagliate, precise, creerebbero un’atmosfera che alla fine condurrebbe ad una generale accettazione della teoria da parte della specie umana come certezza morale.
Ma la prova è una cosa diversa.
Dopotutto la maggior parte delle cose che accettiamo come verità sono in fondo niente più che certezze morali. Noi abbiamo la ferma convinzione che la terra ruoti sul suo asse, ma – come è stato sottolineato da un grande matematico francese – la cosa non è mai stata provata, è soltanto una teoria che spiega certi fenomeni osservabili, niente di più. Chissà che essa non possa essere sostituita a breve da una teoria migliore o peggiore ? Tutti i fenomeni astronomici conosciuti venivano spiegati bene tramite le teorie delle sfere e non so cos’altro, prima che Galileo venisse fuori con il suo "Eppur si muove…" disturbando l’infallibilità ......de la scienza e la logica dei dotti. Si può certamente pensare che altre ammirevoli teorie potrebbero essere inventate per spiegare la gravitazione se la nostra mente non fosse già pregiudizialmente convinta dalle precedenti teorie di Newton, questo l’atavico limite della nostra ragione, poiché essa parte dall’ignoranza, dal non sapere, e ha a che fare con infinite possibilità: le spiegazioni possibili di ogni fenomeno – finché non sappiamo permanete cosa sta dietro di esso – sono infinite. In definitiva noi conosciamo veramente soltanto ciò che osserviamo e anche questo è soggetto ad un dubbio angosciante, per esempio se il verde sia davvero verde e il bianco davvero bianco, per quanto sembri che il colore non sia colore, ma qualcos’altro che crea la sua apparenza. Oltre il fatto osservabile dobbiamo contentarci di una logica ragionevolmente soddisfacente, probabilità dominante e certezza morale. Almeno finché non abbiamo il buon senso di osservare che ci sono in    noi facoltà più alte della ragione dipendente dai sensi e che aspettano uno sviluppo per mezzo del quale possiamo arrivare a certezze più grandi.
Per quanto riguarda la teoria della rinascita, non possiamo realisticamente  sostenere in contrapposizione allo scettico una tale probabilità dominante o una tale certezza. L’evidenza esterna disponibile è rudimentale. Pitagora fu uno dei più grandi saggi, ma il suo asserire di aver combattuto a Troia col nome di Antenoride e di essere stato ucciso dal figlio più giovane di Atreo è soltanto un’asserzione e il suo riconoscere lo scudo troiano non convincerà nessuno che non sia già realmente convinto; le prove odierne non sono in alcun modo convincenti di quella di Pitagora. In assenza di una prova esteriore, che è la sola definitiva per i nostri intelletti sensitivi governati dalla materia, abbiamo l’argomentazione dei reincarnazionisti, i quali sostengono che la loro teoria spiega tutto meglio di qualunque altra. La pretesa è giusta, ma non dà alcuna certezza. La teoria della rinascita, associata con quella del karma ci dà una semplice, simmetrica, bella spiegazione delle cose; ma anche la teoria delle sfere ci dava una semplice, simmetrica, bella spiegazione dei movimenti celesti. Tuttavia abbiamo adesso un’altra spiegazione, molto più complessa, molto più gotica e incerta nella sua simmetria, un ordine inesplicabile che si evolve da infiniti caotici, che noi accettiamo come la verità delle cose (). E tuttavia, se vogliamo soltanto pensare, ci renderemo conto forse che anche questa non è l’intera verità, c’è dietro molto di più che non abbiamo ancora scoperto. E quindi la semplicità, la simmetria, la bellezza, l’adeguatezza della teoria della reincarnazione non è garanzia della sua certezza.
Se entriamo nei dettagli l’incertezza cresce. La rinascita spiega ad esempio il fenomeno del genio, facoltà innata, e molti altri misteri psicologici. Ma poi arriva la scienza a spiegare tutto tramite l’ereditarietà – sebbene, come quella della reincarnazione, anche questa teoria sia soddisfacente soltanto per coloro che già ci credono. Senza dubbio le pretese della teoria dell’ereditarietà sono state esagerate in maniera assurda: essa è riuscita a spiegare molto, non tutto della nostra composizione fisica, del nostro temperamento, delle nostre peculiarità vitali. Il suo tentativo di spiegare il genio, le facoltà innate e altri fenomeni psicologici di tipo più alto è un pretenzioso fallimento. Questo può essere dovuto al fatto che la scienza non conosce nulla di fondamentale circa la nostra psicologia, non più di quanto gli astronomi primitivi sapessero della costituzione e delle leggi degli astri, i cui movimenti tuttavia essi osservarono con sufficiente precisione. Non credo che neanche quando la scienza conoscerà più e meglio essa sarà in grado di spiegare queste cose tramite l’ereditarietà, ma lo scienziato potrà sostenere di essere soltanto all’inizio della sua ricerca e dire che la generalizzazione che ha dato conto di così tante cose potrebbe dar conto di tutto; e dirà che in ogni caso la sua ipotesi era fondata su prove dimostrabili più di quanto non lo fosse la teoria della reincarnazione.
Tuttavia, la tesi del reincarnazionista è sinora una tesi valida e degna di rispetto, sebbene non definitiva. Ma ce n’è un’altra avanzata con più clamore che mi sembra fare il paio con il ragionamento opposto dell’assenza di memoria, almeno nella forma in cui viene di solito avanzato per convincere le menti poco mature. L’argomento etico, per mezzo del quale si tenta di giustificare le vie di Dio con il mondo o il modo in cui va il mondo. Si pensa che ci debba essere un governo morale del mondo, o almeno una qualche ricompensa nel cosmo per la virtù e una qualche punizione per il peccato. Ma nel nostro incerto e caotico mondo terrestre non sembra esserci una tale sanzione. Vediamo infatti che il buono è oppresso dalle miserie mentre il cattivo prospera e non viene miseramente schiacciato alla fine. Ora questo è intollerabile, è una crudele anomalia che ci induce ad una riflessione sulla giustizia e la saggezza divine ed è quasi la prova che Dio non esiste; dobbiamo porvi rimedio e se Dio non c’è dobbiamo avere delle altre ricompense per la giustizia.
Come sarebbe confortante se potessimo stabilire chi è buono, e persino quanto – non dovrebbe infatti essere il Supremo un ragioniere preciso e affidabile? – giudicandolo in base alla quantità di burro che riesce a mettere nello stomaco, al numero di rupie che può depositare in banca e alla fortuna che lo assiste. E come sarebbe confortante anche se potessimo additare il cattivo smascherato e gridargli: "Tu sei cattivo: se infatti non lo fossi potresti forse, in un mondo governato da Dio, o almeno dal Bene, essere così miserabile, affamato, sfortunato, perseguitato dal dolore, non onorato dagli uomini?  
La tua cattiveria è dimostrata dal fatto che sei povero, la giustizia di Dio si compie". Poiché per fortuna l’intelligenza suprema è più saggia e più nobile dell’infantilismo dell’uomo, questo è semplicemente impossibile. Ma c’è un altro modo! _ possibile che, se l’uomo buono non è abbastanza fortunato, non possiede abbastanza burro e rupie, egli potrebbe in realtà essere un cattivo che sconta le sue pene – ma un cattivo nella sua vita passata che adesso ha preso un nuovo corso; e se invece un uomo cattivo prospera nel mondo è per via del fatto che è stato buono in una vita passata, il savio di allora essendosi adesso convertito al culto del peccato, forse perché aveva sperimentato la vanità temporale della virtù. Tutto viene spiegato, tutto viene giustificato. Noi soffriamo per i peccati commessi in un altro corpo, verremo ricompensati in un altro corpo per le nostre virtù attuali, e così andremo avanti all’infinito. Nessuna meraviglia che i filosofi abbiano trovato tutto questo assurdo e proposto come rimedio il liberarsi sia dalla virtù che dal vizio, vedendo come il bene più grande quello di poter in qualche modo sfuggire ad un mondo così assurdo.
Ovviamente questo schema delle cose è soltanto una variazione della vecchia concezione della minaccia e promessa spirituale e materiale, la promessa di un paradiso di gioia per i buoni e la minaccia di un inferno di fuoco eterno e di torture per i cattivi. L’idea della Legge che regola il mondo come dispensatrice di ricompense e punizioni va insieme all’idea dell’essere supremo come giudice, "padre" e maestro che sempre ricompensa con caramelle i bravi bambini mentre punisce con la bacchetta quelli cattivi, anche vicino al barbaro e insipiente sistema di punizione, talvolta selvaggio e sempre degradante, riguardo alle offese sociali, su cui è fondata una società umana ancora incapace di trovare e organizzare un sistema più soddisfacente.
L’uomo insiste continuamente sul rendere Dio a sua immagine, invece di cercare di rendere se stesso sempre più ad immagine di Dio, e tutte queste idee sono il riflesso del bambino, del selvaggio, dell’animale che è in noi, che ancora non siamo riusciti a trasformare o a sviluppare.
Dovremmo meravigliarci di come queste fantasie infantili siano state riprese da gruppi di spiritualidad filosoficamente profonde come il Buddismo e l’Induismo, se non fosse chiaro che gli uomini non si negheranno il vezzo di trasportare i detriti del loro passato sin nei più profondi pensieri dei loro saggi.
Non c’è dubbio che, dato il rilievo di queste idee, esse debbano aver avuto la loro utilità nell’educazione dell’umanità. Forse è vero che il Supremo tratta l’anima bambina adattandosi al suo infantilismo e le permette di mantenere le sue immagini corporee di paradiso e inferno per qualche tempo, anche dopo la morte del copro fisico.
Forse anche queste idee di dopo–morte e rinascita come occasioni di punizione e ricompensa erano necessarie perché si adattavano alla nostra animalità semi–mentalizzata. Ma a un certo punto il sistema cessa di essere efficace: gli uomini credono nel paradiso e nell’inferno, ma vanno avanti peccando allegramente, affrancati alla fine dall’indulgenza ..... o dall’assoluzione finale........, o dal pentimento sul letto di disincarnazione on da un bagno nel Gange, o da una disincarnazione santa a Benares: sono questi gli accorgimenti infantili per mezzo dei quali sfuggiamo al nostro infantilismo.
Alla fine la mente cresce e mette da parte con disprezzo l’intero armamentario da asilo infantile. La teoria della rinascita come ricompensa e punizione, in termini un po’ più elevati e meno crudamente sensazionali, risulta inefficace. Ed è bene che sia così, poiché è intollerabile che l’uomo con la sua capacità divina continui ad essere virtuoso ai fini di una ricompensa ed eviti il peccato soltanto per paura, _ preferibile un forte peccatore ad un virtuoso codardo ed egoista, o a un meschino patteggiatore con Dio, c’è più divinità in lui, più capacità di elevazione.
In verità, ha detto bene la Ghita:
"Anime povere e misere sono quelle che pensano ed agiscono solo in base a quello che ne ricavano". Ed è inconcepibile pretendere di fondare il sistema di  questo mondo vasto e maestoso su queste motivazioni così grette e meschine.
C’è una motivo di verità in queste teorie? _ solo la ragione del bambino infantile. C’è un’etica, ma è soltanto l’etica del fango. Il vero fondamento della teoria della rinascita è l’evoluzione dell’anima, o piuttosto il suo riaffiorare dal velo della materia e il suo graduale ritrovarsi.
Il Buddismo conteneva questa verità nella sua teoria del Karma e dell’emersione dal karma, ma non è riuscito a farla emergere l’Induismo; la conosceva anticamente, ma ha sbagliato nel formularla. Ora noi siamo nuovamente in grado di riformulare l’antica verità in un nuovo linguaggio e questo già viene fatto da alcune scuole di pensiero, sebbene le antiche incrostazioni tendano ancora ad attaccarsi ad una saggezza più profonda. E se questo graduale riemergere è vero, allora la teoria della rinascita è una necessità intellettuale, un corollario logicamente inevitabile.
Ma qual è lo scopo di questa evoluzione ? Non la virtù convenzionale o interessata ed il preciso conteggio del bene, nella speranza di una ricompensa materiale proporzionata, ma la crescita continua verso una conoscenza, amore e purezza divine. Queste cose soltanto sono la virtù reale e questa virtù è la sua stessa ricompensa. L’unica vera ricompensa degli atti di amore è crescere nella capacità e nella delizia dell’amore fino all’estasi dell’abbraccio universale dello spirito e della passione universale; l’unica ricompensa delle opere di giusta Conoscenza è il crescere all’infinito nella Luce infinita, l’unica ricompensa delle opere di giusto Potere è essere sempre più il depositario della Forza divina, quella delle opere pure è di essere sempre più liberi dall’egoismo in una immacolata vastità, nella quale tutte le cose si trasformano e si riconciliano nell’eguaglianza divina.
Ricercare altra ricompensa significa restare legati ad una ignoranza sciocca e infantile e persino il considerare queste cose come una ricompensa è segno di immaturità e di imperfezione.
E che cosa dire di sofferenza e felicità, sfortuna e prosperità ? Esse sono esperienze dell’anima nel suo addestramento, aiuti, strumenti, mezzi, discipline, prove – la prosperità è spesso una prova più difficile della sofferenza. In realtà l’avversità, la sofferenza possono essere considerate più una ricompensa della virtù che non una punizione del peccato, poiché sono il più grande aiuto e purificazione dell’anima che cerca di dispiegarsi.
Considerarle semplicemente come il severo premio di un giudice, l’ira di un regnante irritato o persino il risultato meccanico del male significa farsi l’opinione più superficiale possibile dei procedimenti di Dio con l’anima e della legge che regola l’evoluzione del mondo. E cosa dire della prosperità mondana, della ricchezza, della progenie, del godimento esteriore di arte, bellezza e potere ? Buoni se possono essere acquisiti senza perdita per l’anima e goduti soltanto come il fluire della Grazia e della Gioia divina sulla nostra esistenza materiale. Ma cerchiamoli dapprima per gli altri o piuttosto per tutti e per noi stessi solo come parte della condizione universale o come mezzo di avvicinamento alla perfezione.
L’anima non ha bisogno delle prove della rinascita più di quanto abbia bisogno di quelle dell’immortalità. Perché viene un tempo in cui essa è coscientemente immortale, consapevole di sé nella sua essenza eterna e immutabile. Una volta che questa realizzazione si è compiuta, tutte le diatribe intellettuali pro o contro l’immortalità dell’anima cadono come un vano clamore di ignoranza attorno a verità che sono evidenti e sempre presenti [Tato na vicikitsate = egli più non discute]. Il vero, dinamico credere nell’immortalità si ha quando essa diventa per noi non un dogma intellettuale ma un fatto evidente come il fatto fisico del nostro respiro, senza nessun bisogno di essere dimostrato. Così anche c’è un momento in cui l’anima diventa consapevole di se stessa nel suo movimento eterno e mutevole, allora essa è consapevole delle età passate che costituiscono lo sviluppo attuale del suo movimento, e vede come questo sia stato preparato in un passato ininterrotto; ricorda qualcosa dei passati stati dell’anima, degli ambienti, delle particolari forme di attività che hanno formato il suo modo di essere attuale e sa verso dove si dirige tramite uno sviluppo in un futuro ininterrotto. Questo è il vero dinamico credere nella rinascita e anche qui cessa il gioco delle domande intellettuali; la visione e la memoria dell’anima sono tutto.
Certamente rimane la domanda riguardante il meccanismo di sviluppo e le leggi della rinascita, nelle quali l’intelletto, le sue ricerche e le sue generalizzazioni possono ancora giocare un ruolo. Qui quanto più si pensa e si esperimenta, tanto più l’ordinaria, semplice, nuda idea della reincarnazione sembra di dubbia validità. C’è di sicuro una complessità maggiore, una legge che segue un andamento più difficile, una più complessa armonia delle possibilità dell’Infinito. Ma questa è una domanda che richiede considerazioni più lunghe ed ampie, poiché "c’è una legge sottile in esso": Anur hyesha dharmah.
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La reincarnazione dello Spirito

Il pensiero umano, per la maggior parte degli uomini, non è altro che una rozza e cruda accettazione acritica di idee. La nostra mente è una sentinella sonnolenta e poco attenta che permette il passaggio a qualunque cosa sembri formulata decentemente o che abbia un’apparenza plausibile o che borbotti qualcosa che abbia un’apparenza di familiarità. Ed è specialmente così nelle questioni sottili che si allontanano dai fatti concreti della nostra vita e del nostro ambiente fisico. Persino uomini che ragionano con attenzione e acutamente di cose ordinarie e che considerano la vigilanza rispetto agli errori come un dovere pratico o intellettuale, si accontentano di sciocchezze inconsistenti quando si ritrovano su un terreno più alto e più difficile.
Laddove la precisione ed il pensiero sottile sono più necessari, proprio lì essi sono più impazienti e non si dedicano al faticoso lavoro richiesto. Gli uomini riescono a padroneggiare un pensiero sottile a proposito di cose palpabili, ma pensare in modo sottile di cose sottili è uno sforzo troppo grande per il nostro rozzo intelletto; così ci accontentiamo di un superficiale colpo di pennello, proprio come il pittore che scaglia il suo pennello contro la tela perché non riesce ad ottenere l’effetto desiderato.
Scambiamo lo scarabocchio che ne risulta per la forma perfetta di una verità. Non sorprende quindi che gli uomini si accontentino di pensare rozzamente a proposito di una questione come la rinascita. Quelli che l’accettano la prendono così come gli viene proposta, come una teoria nuda e cruda o un dogma. L’anima rinasce in un nuovo corpo – questa asserzione vaga e quasi priva di significato è per loro sufficiente. Ma che cos’è l’anima ? E che cosa significa rinascita di un’anima? Bene, significa reincarnazione; l’anima, qualunque cosa essa sia, è venuta fuori da una struttura corporea e rientra in un’altra. Sembra semplice – lasciateci dire. Come il Djinn del racconto arabo che viene fuori dalla lampada e poi ci rientra o forse come il cuscino viene fuori da una fodera e infilato in un’altra. Oppure l’anima si forma da se stessa un corpo già nel grembo della madre e poi lo occupa; o ancora si spoglia da un abito di carne e ne indossa un altro. Ma che cos’è questa cosa che "lascia" un corpo ed "entra" in un altro? _ un altro, un corpo psichico e una forma sottile che entra in una forma corporea grossolana, forse il Purusha dell’immagine antica, non più grande di un pollice, oppure è qualcosa senza forma in sé, impalpabile, che si incarna nel senso di diventare o prendere una forma palpabile di carne ed ossa percepibile ai sensi ?
Nella concezione ordinaria comune non si parla di nascita dell’anima, ma soltanto di nascita di un nuovo corpo occupato da una vecchia personalità, che non è cambiata dal momento in cui ha lasciato la sua forma fisica ora disaggregata. _ John Robinson che è venuto fuori da quella forma corporea che una volta occupava, è John Robinson che domani o fra alcuni secoli si reincarnerà in un altro corpo e riprenderà il ciclo delle sue esperienze terrene sotto altro nome e in un altro luogo Achille rinasce come Alessandro figlio di Filippo il Macedone, vincitore non di Ettore ma di Dario, in un ambito più  vasto con destini più grandi, ma è sempre Achille, la stessa personalità che è rinata, solo che sono diverse le circostanze fisiche. _ questo sopravvivere della stessa personalità che attrae oggi la mente europea nella teoria della reincarnazione. Poiché è difficile per chi è innamorato della vita accettare l’idea dell’estinzione o dissoluzione della personalità, di questo composto fisico, nervoso e mentale che chiamiamo me stesso.
Ed è la promessa della sua sopravvivenza e della sua ricomparsa fisica ciò che maggiormente attrae.
L’ostacolo che si frappone all’accettazione di questo è l’ovvia non sopravvivenza del ricordo. La memoria è l’uomo, dice la psicologia moderna, e a cosa serve che la mia personalità sopravviva se non ricordo il mio passato, se non sono consapevole di essere la stessa persona ancora e sempre ? Qual è il senso ? Dove sta la felicità ? Gli antichi pensatori indiani – non sto parlando della credenza popolare piuttosto rozza e non rifletteva affatto su questo – ma gli antichi pensatori buddisti e vedantici consideravano la cosa da un punto di vista molto differente.
Essi non erano attaccati alla sopravvivenza della personalità, non davano a questa sopravvivenza l’alto nome di immortalità; capivano che essendo la personalità ciò che è, un composto che cambia di continuo, la sopravvivenza di una personalità identica era un non senso, una contraddizione in termini.
Essi percepivano invero che c’è una continuità e cercarono di scoprire che cosa determini questa continuità e se il senso di identità che ne fa parte sia un’illusione o la rappresentazione di un fatto, di una verità reale; e se è così, quale fosse questa verità. I Buddisti negarono ogni identità reale. Non c’è – essi dissero – nessun sé, nessuna persona, ma semplicemente un continuo fluire di energia in azione che è come il fluire continuo di un fiume o il continuo bruciare di una fiamma. _ questa continuità che crea nella mente un falso senso di identità. Io non sono adesso la stessa persona che ero un anno fa, e neanche la stessa persona che ero un momento fa, non più di quanto l’acqua che scorre laggiù sia la stessa acqua che scorreva pochi secondi fa; è il persistere del flusso nello stesso canale che preserva la falsa apparenza di identità. Ovviamente quindi non c’è nessuna anima che si reincarni, ma soltanto un karma che persiste fluendo continuamente in un canale apparentemente ininterrotto. _ il Karma che si reincarna; il karma crea la forma di una mente che cambia costantemente e i corpi fisici, che sono, possiamo presumere, il risultato di quel cangiante composto di idee e sensazioni che chiamiamo me stesso. L’identico "Io" non c’è, non c’è mai stato né mai ci sarà. Praticamente, fino a quando persiste l’errore della personalità, questo non fa molta differenza e io posso dire, nel linguaggio dell’ignoranza, che sono rinato in un nuovo corpo; praticamente devo procedere sulla base di quell’errore. Ma c’è un punto importante che si è compreso: che è tutto un errore e un errore che può cessare; il composto si può disaggregare per sempre senza riformarsi di nuovo, la fiamma può spegnersi, il canale che si denominava fiume può essere distrutto. Allora c’è il non–essere, c’è la cessazione, la liberazione dell’errore da se stesso.
Il Vedantino arriva ad una conclusione diversa: egli ammette un’identità, un sé, una persistente realtà immutabile – ma che è diversa dalla mia personalità, diversa dal composto che chiamo me stesso. Nella Katha Upanishad il problema è posto in modo molto istruttivo, quasi opposto all’argomento che stiamo trattando. Nachiketas, mandato da suo padre nel mondo della Morte, così chiede a Yama, il Signore di quel mondo: Dell’uomo che è andato avanti, che è trapassato, alcuni dicono che egli è, altri che "egli non è"; chi ha ragione? qual è la verità del grande passaggio? Questa è la forma della domanda e a prima vista sembra che sollevi semplicemente il problema dell’immortalità nel senso europeo della parola, il sopravvivere dell’identica personalità. Ma questo non è quello che Nachiketas chiede. Egli ha già preso, come il secondo dei tre doni che gli sono stati offerti da Yama, la conoscenza della Fiamma sacra per mezzo della quale l’uomo vince la fame e la sete, si lascia dietro il dolore e la paura e dimora nel paradiso eternamente felice.
L’immortalità in quel senso egli la ritiene già garantita, poiché già sta in quel mondo ulteriore. La conoscenza che egli chiede comporta il problema più profondo, più sottile, del quale Yama afferma che persino gli dei ne discutono da molto, e che non è facile da conoscere, perché la sua legge è sottile; sopravvive qualcosa che sembra essere la stessa persona, che discende nell’inferno, che sale al cielo, che ritorna sulla terra in un nuovo corpo, ma è davvero la stessa persona che sopravvive in questo modo ? Possiamo dire davvero dell’uomo "Egli è ancora", o dobbiamo piuttosto dire "Egli non è più" ? Anche Yama nelle sue risposte non parla della sopravvivenza alla morte, e concede soltanto uno o due versi alla nuda descrizione della costante rinascita che tutti i pensatori seri ammettevano come una verità universalmente riconosciuta.
Ciò di cui parla è il Sé, l’Uomo reale, il Signore di tutte queste apparenze cangianti; senza la conoscenza di quel Sé la sopravvivenza della personalità  non è una vita immortale ma un costante passare dalla morte alla morte; soltanto colui che va oltre la personalità sino alla vera Persona diventa immortale. Fino ad allora sembra che l’uomo nasca di nuovo e ancora per mezzo della forza della sua conoscenza e delle opere, il nome succede al nome, la forma alla forma, ma non c’è immortalità.
Questa dunque è la domanda posta, alla quale Buddisti e Vedantini rispondono in modo così differente. C’è un costante riformarsi di personalità in nuovi corpi, ma questa personalità è una creazione mutevole di una forza al lavoro che si spinge in avanti nel tempo e non è mai, neppure per un momento, la stessa; e il senso dell’ego, che fa sì che noi ci attacchiamo alla vita del corpo, e crediamo facilmente che questa sia la stessa idea e forma, che questo John Robinson, rinato come Sidi Hossain, è una creazione della mente.
Achille non è rinato come Alessandro, ma il flusso di forza nelle sue opere che ha creato la costante mutevolezza del corpo e della mente di Achille ha continuato a fluire e ha creato la costante mutevolezza del corpo e della mente di Alessandro. Tuttavia, dice l’antico Vedanta, c’è qualcosa al di là di questa forza in azione, il Maestro di essa, uno che fa sì che essa crei per lui nuovi nomi e forme: questo è il Sé, il Purusha, l’Uomo, la Vera Persona. Il  senso dell’ego è soltanto la sua immagine distorta riflessa nel fluire continuo della mente corporea.
Allora è il Sé che si incarna e si reincarna ? Ma il Sé è imperituro, immutabile, non nasce e non muore. Il Sé non è nato e non esiste nel corpo; piuttosto è il corpo che è nato ed esiste nel Sé. Perché il Sé è uno dappertutto – in tutti i corpi, noi diciamo, ma in realtà non è confinato e parcellizzato in corpi diversi, tranne che, come l’etere che tutto costituisce, sembra prendere forma in oggetti diversi e in un certo senso in essi si ritrova. Piuttosto, tutti questi corpi sono nel Sé, ma anche questo è una immaginazione della concezione spaziale, e in definitiva questi copri sono soltanto simboli e figure di se stesso, creati da esso nella sua propria Coscienza. Persino ciò che noi chiamiamo l’anima individuale è più grande del suo corpo e non meno, più sottile di esso e di conseguenza non limitata dalla sua grossolanità. Al momento della disincarnazione non abbandona la sua forma, ma se ne spoglia, così che una grande Anima che fa la sua dipartita può dire di questa disincarnazione, con una frase vigorosa, "ho sputato via il corpo". Che cosa è dunque ciò che percepiamo come l’abitante della struttura fisica ? Che cosa è ciò che l’anima si porta via dal corpo quando getta via questo involucro fisico che avvolgeva non essa, ma una parte dei suoi componenti? Che cos’è quello la cui dipartita produce questo strappo violento, questa lotta veloce e il dolore della partenza, creando questo senso di violento divorzio ? La risposta non ci aiuta molto. _L’involucro sottile o psichico che è legato al fisico dalle corde del cuore, dalle corde della energia di vita, dall’energia nervosa che è stata intessuta in ogni fibra fisica. _ Questo che il Signore del corpo si porta via e lo strappo violento o il rapido o lento allentarsi delle corde della vita, la fuoruscita della forza di connessione, è questo che costituisce il dolore della disincarnazione e la sua difficoltà.
Cambiamo dunque la forma della domanda e chiediamoci piuttosto cos’è che riflette e accetta la personalità mutevole, poiché il Sé è immutabile ? Noi abbiamo infatti un Sé immutabile, una Persona reale, Signore di questa personalità che cambia sempre, che, di nuovo, prende corpi che cambiano sempre; ma il Sé reale si conosce sempre al di sopra del mutamento, lo osserva e ne gioisce, ma non è coinvolto in esso. Per mezzo di che cosa esso gode dei cambiamenti e li avverte come suoi, anche se sa di non esserne toccato? La mente e il senso dell’ego sono soltanto strumenti inferiori, deve esserci quindi una qualche più essenziale forma di se stesso che l’Uomo Reale mette avanti, mette di fronte a sé, per così dire, e dietro ai cambiamenti, per sostenerli e rispecchiarli senza essere in realtà cambiato da essi. Questa forma più essenziale è, o sembra essere nell’uomo, l’essere mentale o la persona mentale di cui parlano le Upanishad come del leader mentale della vita e del corpo (manomayah prana–sharira–neta). _ questo che sostiene il senso dell’ego come una funzione nella mente e ci permette di avere la ferma percezione di una identità continua nel Tempo come opposta all’identità senza tempo del Sé.
La personalità che cambia non è questa persona mentale, è un insieme di materiali diversi della Natura, una formazione di Prakrti, e non è per niente il Purusha. Ed è un composto molto complesso, con molti strati: c’è uno strato fisico, uno strato nervoso, uno strato mentale, persino uno strato finale di personalità sopra–mentale; e all’interno di questi stessi strati ci sono strati dentro ognuno di essi. L’analisi degli strati successivi della terra è una faccenda semplice. Se paragonata all’analisi di questa creazione meravigliosa che chiamiamo la personalità. L’essere mentale, nel riprendere la vita corporea, forma una nuova personalità per la sua nuova esistenza terrestre; prende dalla materia comune materiale inorganico e organico, materiale mentale del mondo fisico e durante la vita terrestre assorbe costantemente materiale fresco, getta via ciò che è usato, cambiando i suoi tessuti fisici, nervosi e mentali.
Ma tutto questo è lavorio di superficie; dietro di esso c’è il retroterra dell’esperienza passata, che viene tenuto dietro la memoria fisica, affinché la consapevolezza superficiale non sia turbata e non ci siano interferenze con il fardello consapevole del passato, ma ci si possa concentrare sul lavoro attuale. Tuttavia questo retroterra di passata esperienza è il nocciolo della personalità e più di questo. _ Il nostro vero tesoro, al quale possiamo far ricorso anche a prescindere dal nostro superficiale rapporto con ciò che ci circonda. Questo rapporto si aggiunge alle nostre conquiste, modifica il retroterra in vista di un’esperienza successiva.
Inoltre tutto questo è di nuovo superficie, è soltanto una piccola parte di noi stessi che vive e agisce nelle energie della nostra esistenza terrena. Come dietro l’universo fisico ci sono dei mondi dei quali il nostro è soltanto un risultato ultimo, così anche dentro di noi ci sono mondi della nostra autoesistenza che proietta questa forma esterna del nostro essere. Il subcosciente, il sovracosciente sono oceani dai quali e verso i quali scorre questo fiume. Di conseguenza parlare di noi stessi come di un’anima che si reincarna è dare un’apparenza troppo semplice al prodigio della nostra esistenza; è un tradurre in una formula troppo grossolana la magia del Mago supremo. Non c’è una definita entità psichica che prenda un involucro di carne, c’è una metempsicosi, un riprendere l’anima, un rinascere di una nuova personalità psichica così come c’è la nascita di un nuovo corpo. E dietro di questo c’è la Persona, l’entità che non cambia, il Signore che manipola questo materiale complesso, l’Artefice di questo meraviglioso artificio.
Questo è il punto di partenza dal quale dobbiamo procedere nel considerare il problema della rinascita. Considerarci come questa o quell’altra personalità che prende un muovo involucro di carne è restare impigliati nell’ignoranza, confermare l’errore della mente materiale e dei sensi. Il corpo è un’opportunità, la personalità è una formazione costante del cui sviluppo l’azione e l’esperienza costituiscono gli strumenti, ma il Sé tramite il volere del quale per la delizia del quale tutto questo avviene è diverso dal corpo, diverso dall’azione e dall’esperienza, diverso dalla personalità che essi sviluppano. Ignorarlo è ignorare l’intero segreto del nostro essere.

(Traduzione di M. Furru e G. Elia)

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EL ENCUENTRO EN LA VICTORIA



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UN ENCUENTRO EN LA VICTORIA

Autor: ©Giuseppe Isgró C.

Del libro: La Victoria

Capítulo I

Me encontraba un día, en una fuente de aguas tranquilas, cristalinas, cuando se me acercó un Venerable hombre, vestido a la antigua usanza, con bata blanca, larga, pelo y barba que alguna vez fueron de color pelirrojo y un báculo en la mano derecha.

Concentró sus ojos en los míos; su mirada era profunda, serena y apacible.

Con voz suave y afectiva, me dijo:

-“Hola, hijo, como estás”-.

–Bien, -le contesté-; y, ¿usted?

–Por aquí andamos; -fue su respuesta-, mientras me sonreía.

-¿Dónde estamos?, -le pregunté al Venerable hombre-.

-Este sitio es conocido como La Victoria; -me contestó-. –¿Qué haces por estos lados?

-Salí esta mañana, temprano, con el coche, a dar un paseo; luego, al llegar a esta zona, me paré a contemplar la belleza de los araguaneyes y decidí caminar un poco y la verdad que, absorto en mis reflexiones, caminé por lo menos durante dos horas, hasta llegar aquí. Desconocía este hermoso lugar. Y, usted, -¿vive por aquí cerca? -le pregunté-.

Un poco más arriba, en esa colina boscosa. Hace algunos años, -relata el Venerable hombre- decidí retirarme de la agitada vida ejecutiva en que me desenvolvía profesionalmente, como abogado, en la ciudad de Quebec, Canadá, aunque he viajado por diversos países asesorando a incontables líderes. Construí la casa, en esta zona tropical, con la idea de pasar aquí los meses de invierno. Me dedico al estudio de la vida, a la meditación y a cultivar mi jardín y de vez en cuando, a escribir mis reflexiones, las cuales, algún día, habrán de ser publicadas para esparcir un poco la luz que he podido vislumbrar en mis estudios metafísicos-espirituales.

-¿Quieres tomar un café? –Me preguntó el Venerable hombre-. Lo he traído de Caripe El Guácharo; es de los más exquisitos que he probado.

-Sí, con gusto se lo acepto; -le contesté-.

Nos fuimos caminando por un sendero rodeado de árboles cargados de mangos, aguacates, naranjas y una hilera de cayenas de diversos colores. A lo lejos, el ruido de la brisa se oía apaciblemente. Todo era quietud, armonía y paz. Pero, sobre todo, lo que más me impresionaba era la apacibilidad y el sosiego del Venerable hombre de La Victoria. Emanaba de él un flujo de fuerza que, en su presencia, me sentía con un poder y una seguridad nunca antes experimentados. Fuerzas bienhechoras se iban apoderando de mí y aquella paz y relax que buscaba en la mañana, al salir a dar un paseo, sin percatarme de ello, las estaba experimentando ya.

Después de unos quince minutos de caminar, llegamos a la casa del Venerable hombre. Su aspecto exterior humilde estaba lejos de dejar entrever lo que segundos después habría de asombrarme con lo que encontré en el interior.

Al entrar, en la casa, una joven de unos veinte años saludó al Venerable hombre.

-¡Hola, abuelo!, ¿cómo estás?

–Bien, hija, -contestó el Venerable hombre-. -Prepara un poco de café, Lucía, mientras conversamos un poco, adentro.

-Por cierto, te presento a Santiago, quien ha llegado paseando hasta La Victoria.

Después de la presentación, entramos en la biblioteca del Venerable hombre. Un salón grande, lleno de estantes de libros por todas partes, lo cual hacía inimaginable dicho cuadro desde el exterior. Algunos cuadros al óleo de morichales y de personajes históricos, presentaban un ambiente acogedor. En un rincón se encontraban diversos retratos de Tagore, Gandhi, Cicerón, Séneca, Ibn Arabi y un dibujo de Don Quijote y Sancho Panza. En un pequeño cuadro, podía leerse: -“Lo que Alá quiera. Nada se le asemeja”-.

-Le felicito por este inmenso tesoro que usted tiene aquí, -le dije al Venerable hombre-. -¿Cuáles son los temas de su interés?

A lo cual, me contestó: -Como usted puede ver, Santiago, -y me invitó a recorrer los estantes- aquí hay libros de variados temas: clásicos de todos los países y épocas, desde los Vedas, los Upanishads, el Mahabaratha, los libros de Confucio, El Tao te King, de Lao Tse, el Poema de Gilgamesh, el Código de Amurabí, autores griegos, como Homero y Hesiodo. Se encuentran las obras completas de Euclides, Platón, Aristóteles, Teofrasto, Demetrio de Falereo, de los Presocráticos, Epicteto, Plutarco, etcétera; de los latinos, autores como Séneca, Cicerón, -que son mis preferidos-, Julio César, Tito Livio, Dionisio de Halicarnaso, Marco Aurelio, así como libros de Psicología, Gerencia, Sufismo, Yoga, ensayos, filosofía, parapsicología, hermetismo, El Quijote, libros de economía, filosofía, etcétera, en fin, un poco de todo lo que es preciso conocer para poder entender el significado de la vida: de dónde venimos, por qué estamos aquí y hacía dónde vamos, sin lo cual, la vida no tendría sentido, sobre todo por el gran afán a que está sometido el ser humano en la agitada vida moderna.

Nos sentamos en sendas butacas y nos entretuvimos conversando de temas diversos. Al poco rato, entró Lucía con dos tazas de oloroso café y unos biscochos, que degustamos con agrado en una amena e interesante conversación. Al fondo, podía oírse una suave música de Beethoven.

Pasamos cerca de una hora conversando de sobre la Atlántida, Egipto, los griegos, de Homero, de los sufíes, del budismo zen, los poderes del espíritu, meditación, etcétera, después de lo cual, le hice una pregunta directa.

-Seguramente, usted ha desarrollado alguna técnica de meditación y algún método de resolución de situaciones, en la vida, que me quisiera explicar, ya que, según observo, para tener usted una serenidad tan acentuada y una fortaleza física a la edad que imagino que usted debe tener, -cerca de noventa años- es porque ha encontrado en su larga experiencia algún secreto que quizás quisiera compartir conmigo.

Santiago, -me dijo el Venerable hombre, si vuelves a visitarme otro día, quizá te cuente algo que te pueda servir. Empero, antes de que te vayas, te haré entrega de unos apuntes que hace ya muchos años, en una época en que yo andaba a la búsqueda de sosiego y tratando de encontrarle sentido a la vida, un Venerable hombre que, en una edad similar a la mía, a su vez me entregara y cuya práctica asidua me permitió domar la mente, encarrilar mi vida y poner bajo control los hilos del destino. Son veintidós manuscritos, y una meditación diaria, –continuó diciendo el Venerable hombre, que si bien son ya un poco antiguos, podrás copiarlos de nuevo y si pones en práctica las técnicas que contienen, darás a tu vida un esplendor que habrá de sorprenderte agradablemente.

-Una vez que los hayas probado con total y absoluta satisfacción de tu parte, -me dijo, ponlos en limpio, en forma de libro y publícalo para que su mensaje llegue a mayor número de personas. Hacía tiempo que esperaba a alguien a quien confiarle este legado y creo que hoy, al llegar aquí, en la forma en que lo has hecho, tus pasos han sido dirigidos por Aquel que todo lo sabe y puede, por la Ley Cósmica, y en cuyos planes universales, todos somos sus instrumentos.

Me despedí del Venerable hombre y de su adorable nieta, sintiendo dentro de mí fuerzas desconocidas hasta entonces que preanunciaban grandes cambios en mi vida.

En los días siguientes, aparté una hora diaria, antes de dormirme, y leí y releí, todos los manuscritos, de la siguiente manera: En primer lugar copié la Meditación diaria en un cuaderno, el cual leí durante veintidós noches y mañanas seguidas, tal como lo indicaban las instrucciones de la misma.

Una nota al pie de página mencionaba que si yo la transcribía en un cuaderno, el hecho de hacerlo, grabaría en mi ordenador mental las instrucciones y me sería más fácil desarrollar, en mi personalidad, las cualidades y condiciones que formaban parte de los objetivos implícitos en la misma.

De los veintidós manuscritos, cada lunes, a las once en punto de la noche, copiaba uno en el cuaderno, y durante el resto de la semana, a la misma hora, lo leía y meditaba, siguiendo las fáciles y efectivas técnicas e indicaciones al inicio del mismo.

Cuatro semanas después de leer durante veintidós días seguidos, en la noche y en la mañana, la meditación diaria, comenzaron a manifestarse en mi vida una serie de cambios positivos que me dejaban asombrado a mi mismo, pero, también, los miembros de mi familia y a mis amistades; sobre todo mi semblante comenzó a ser más apacible; volví a sonreír desde el interior; mi estado anímico era de contento; me sentía más seguro de mi mismo; comencé a confiar más en la gente, en la vida y a vislumbrar el sentido de mi misión en la vida –percibía cosas que antes me pasaban desapercibidas, a pesar de haber estado siempre allí. Sentía fluir en mí una nueva corriente vivificadora de prosperidad, de felicidad, de alegría de vivir. Mi entusiasmo y amor por la vida y por mi familia, por mi trabajo y por las personas, crecía día a día. En aproximadamente dos meses había logrado muchas de las cosas en las cuales había soñado desde hacía años. Había dado un paso sorprendente en el camino de la autorrealización.

Efectivamente, pude comprobar que me fue relativamente muy fácil desarrollar las aptitudes y actitudes a nivel físico, mental, emocional, espiritual y en diversos aspectos de mi vida, como el financiero, que comenzó a mejorar casi inmediatamente, así como, surgieron nuevas oportunidades que comencé a aprovechar, casi sin esfuerzo de mi parte.

Transcurría el año de 1967 y mi vida había encontrado un sendero que habría de conducirme a cooperar en forma más efectiva en el plan divino que el Supremo Hacedor, en algún momento, había diseñado para mí.

Tres meses después volví a aquel lugar donde había encontrado al Venerable hombre de La Victoria y allí estaba la fuente que él dijo llamarse La Victoria; empero, cuando traté de encontrar el camino para llegar a la casa donde amablemente me ofreció un delicioso café, preparado por su nieta Lucía, no logré encontrarlo, pese a haber recorrido durante un par de horas por los alrededores. Pregunté a varias personas para ver si podían indicarme como llegar a la casa del Venerable hombre y cual fue mi sorpresa, nadie lo conocía.

Empero, después de tanto buscar, volví a encontrar la casa donde vivía el Venerable hombre de La Victoria, pero se encontraba abandonada. Su aspecto indicaba que debía encontrarse en ese estado un lapso mayor del que mediaba con el encuentro de aquel ser extraordinario. Es sorprendente como los inmuebles solos acusan el paso del tiempo en mayor grado que los que son habitados. Si no fuera por los manuscritos pensaría que el encuentro no fue más que un simple sueño. -¿O se trata, acaso de un sueño combinado con un fenómeno de aporte? Personalmente, no lo creo. El encuentro fue muy vívido y real. El aromático café servido por Lucía estaba exquisito. Durante varios años volví al lugar varias veces, la casa seguía sola. La última vez que volví, no la pude ubicar y sin tener tiempo suficiente para seguir buscándola, me fui. Ahora, vivo muy lejos de aquella zona, en otro continente; han transcurrido muchos años y después de tanto tiempo es poco probable que vuelva allí; pero, los manuscritos y la meditación diaria obran en mi poder, me han transformado y han enriquecido mi vida.

Durante más de treinta y cinco años he puesto en práctica las diversas variantes de los ejercicios, afirmaciones y meditaciones que contienen los manuscritos y la meditación diaria y cada vez que los pongo en práctica, experimentos los mismos beneficios. Ahora, ellos se encuentran en el libro que usted tiene en sus manos; espero que les sean tan útiles como los han sido para mí.

Su contenido es eminentemente práctico; no hay teorías superfluas. Si lleva a cabo los ejercicios que contienen, es probable que, gradualmente, se vaya efectuando la transmutación alquímica de su ser sintonizándose con los elevados resultados existenciales, los cuales, por añadidura, al ser creados a nivel mental, se van manifestando en su propia vida, oportunamente.

Sobre todo, con estos ejercicios, me percaté, cuando el Venerable hombre me entregó los manuscritos, de que se dispone de un método para domar la mente y ejercer un pleno dominio sobre la vida en general y, por ende, sobre el destino y controlar, cuando eventualmente se presenten, todas las situaciones, manteniendo un perfecto equilibrio físico, mental, emocional, espiritual y financiero.

El Venerable hombre de La Victoria me comentaba que todo se puede lograr en la vida si se siembra la respectiva semilla por medio de correctas decisiones acordes con la propia y elevada auto-estima y dignidad personal, desarrollando el convencimiento de que sí se puede hacer, por medio de las afirmaciones, las visualizaciones y meditaciones, la experimentación de un estado emocional acorde al momento de ser logrados los respectivos resultados y la practica del desapego, es decir, dejar encargada a la mente psiconsciente del logro, y además, se espera el tiempo necesario haciendo, mientras tanto, todo lo que se requiere, según el caso o los objetivos por alcanzar.

Estas técnicas funcionan, me decía una y otra vez el Venerable hombre de La Victoria; luego, agregaba: -las he probado por más de cincuenta años y quien, a su vez me las entregó, habría hecho otro tanto, aseverando que eran efectivas, si yo seguía fielmente las instrucciones y las ponía en práctica con expectativas positivas.

Desde que en 1967, el Venerable hombre me hiciera entrega de los manuscritos, han transcurrido un poco más de de treinta y cinco años, durante los cuales yo también he puesto en práctica las diversas variantes de los ejercicios, afirmaciones y meditaciones que contienen, y cada vez que me ejercito con ellos, experimento los mismos beneficios. Ahora, ellos se encuentran en el libro que usted tiene en sus manos; espero que les sean tan útiles como los han sido para todos los que hemos aplicado las enseñanzas del Venerable hombre de La Victoria.

Él me repetía constantemente: -“¡Tú puedes si crees que puedes hacerlo! ¡Hazlo y tendrás el poder!

Recuerdo que ese día el Venerable hombre me dijo: -ejercer el poder con que la naturaleza de las cosas ha dotado a cada ser, cultivando los dones inherentes y aprendiendo todo lo que se pueda de sí y del vasto universo del que se forma parte, es una manera efectiva de ser cada día más feliz. Luego, cuando me despedí de él, expresó: -“¡Que cada día brille más y mejor tu luz interior!”.- Adelante.

Capítulo 2

Meditación diaria

Es lunes en la noche, son las once en punto.

Me dispongo a copiar textualmente, en el cuaderno que he dispuesto para ello, el manuscrito identificado con el título:

Meditación diaria

Dice así:

Afirme, en la mañana y en la noche, antes de dormir, durante veintidós días; luego, cada vez que lo desee, esta poderosa fórmula de programación mental positiva y descubra cómo, con facilidad, van ocurriendo cosas maravillosas en su vida:

MEDITACIÓN DIARIA

Afirma, en la mañana y en la noche, antes de dormir, durante veintidós días; luego, cada vez que lo desees, esta poderosa fórmula de programación mental positiva y descubre cómo, con facilidad, van ocurriendo cosas maravillosas en tu vida. Al encender la luz en la mente se ilumina la propia existencia y todo en derredor vibra al unísono y con el mismo sentimiento de felicidad y bienestar, interrelacionándose por la ley de afinidad.

1. -Entro en el nivel de mi mente psiconsciente, en el centro de control de mi piloto mental automático, donde todo va bien, siempre, contando de tres a uno: Tres, dos, uno.

Ø Ahora, estoy ya en el nivel de mi mente psiconsciente, en el centro de control de mi piloto mental automático, donde todo va bien, siempre.

Ø Voy a permanecer en el nivel de mi mente psiconsciente, en el centro de control de mi piloto mental automático, donde todo va bien, siempre, durante quince minutos y voy a programar los siguientes efectos positivos, los cuales perduran, cada vez mejor, hasta que vuelva a realizar este acceso y programación mental:

Ø Todo va bien, siempre, en todos los aspectos de mi vida, cada día mejor. (Tres veces). –Imagínalo-.

Ø Todo va bien en mi trabajo; cada día logro mejores niveles de efectividad, prosperidad, riqueza, abundancia y bienestar. (Imagínalo).

2. Formo una unidad cósmica perfecta con el Creador Universal, -ELOÍ. (Diez veces, con los ojos cerrados). Hoy se expresa en mí la Perfección universal de la Vida, del amor, de la luz, de la sabiduría, del perdón, de la percepción de la verdad, de la aceptación de la realidad, de la justicia, de la igualdad, de la compensación, de la fortaleza, de la templanza, de la belleza, del equilibrio, de la armonía, de la salud, de la prosperidad, de la riqueza, de la abundancia, del servicio y de la provisión en todos los aspectos de mi vida.

3. -Cada día, en todas formas y condiciones, mi cuerpo y mi mente funcionan mejor y mejor. La consciencia de mi conexión permanente e indisoluble con el Creador Universal, -ELOÍ-, restablece y mantiene en mí, diariamente, durante las veinticuatro horas del día, un perfecto estado de salud a nivel físico, mental, emocional y espiritual. Gracias, Creador Universal, por darme un cuerpo perfecto, saludable, lleno de energía. Aquí y ahora, me siento en perfecto equilibrio de salud, a nivel físico, mental, emocional y espiritual.

4. Afronto y resuelvo bien toda situación que me compete, siempre.

5. Todo tiene solución, en todas las situaciones de mi vida.

6. El Creador Universal, -ELOÍ-, es en mí, cada día mejor, en todos los aspectos de mi vida, fuente de amor, luz, sabiduría, éxito, riqueza, prosperidad, abundancia y armonía.

7. Permito que las leyes universales de la Vida, del amor, de la luz, de la sabiduría, del perdón, de la percepción de la verdad, de la aceptación de la realidad, de la justicia, de la igualdad, de la compensación, de la fortaleza, de la templanza, de la belleza, del equilibrio, de la armonía, de la salud, de la prosperidad, de la riqueza, de la abundancia, del servicio y de la provisión actúen bien en el plan de mi vida.

8. Tengo prosperidad y poder. Cada día enriquezco mejor mi vida a través del servicio efectivo, del amor y de la práctica de todas las virtudes.

9. Mi dignidad personal me lleva a realizar las cosas que me competen con la máxima perfección posible.

10. Cada día, en todas formas y condiciones, en todos los aspectos de mi vida, estoy mejor y mejor a nivel físico, mental, emocional, espiritual y financiero.

11. Actúo con templanza, serenidad, autodominio y perfecto equilibrio en todo. Conservo plena autonomía y control sobre todas mis facultades físicas, mentales, emocionales, intelectuales y espirituales. Hecho está. (Visualizar un escudo protector de luz que te envuelve y protege; -una pirámide-).

12. Tengo fortaleza, valor, confianza y fe suficiente para triunfar y alcanzar todas mis metas, de acuerdo con la voluntad del Creador Universal, -ELOÍ-, y en armonía con sus planes cósmicos. Soy inmune e invulnerable a las influencias y sugestiones del medio ambiente y de cualquier persona a nivel físico, mental, emocional y espiritual, en las dimensiones objetivas y subjetivas y en cualesquiera otras en que sea requerido.

13. El orden universal de la Vida, del amor, de la luz, de la sabiduría, del perdón, de la percepción de la verdad, de la aceptación de la realidad, de la justicia, de la igualdad, de la compensación, de la fortaleza, de la templanza, de la belleza, del equilibrio, de la armonía, de la salud, de la prosperidad, de la riqueza, de la abundancia, del servicio y de la provisión se establece en mi vida, en todos mis asuntos y en las personas interrelacionadas, aquí y ahora. Hecho está.

14. Asumo la responsabilidad de mis actos y cumplo bien todos mis compromisos, siempre oportunamente, de acuerdo con el orden cósmico.

15. El Creador Universal, -ELOÍ-, nos da abundancia y armonía en el eterno presente. Vivo en abundancia y en armonía perfectas, aquí, ahora y siempre.

16. El Creador Universal, -ELOÍ-, se está ocupando de todo, en todos los aspectos de mi vida, y se expresa en mí conciencia intuitiva por medio de los sentimientos en correspondencia con los valores universales.

17. Gracias, Creador Universal, -ELOÍ-, por esta vida maravillosa. Que Tu Inteligencia Infinita, Amor, Sabiduría, Justicia, Luz, y Poder Creador guíen, adecuadamente, todas mis decisiones y acciones, ahora y siempre. Gracias, Eloí, por este día maravilloso.

18. El Creador Universal, -ELOÍ-, nos proteja, aquí y en cualquier lugar, ahora y siempre. (Tres veces).

19. Siempre espero lo mejor, de acuerdo con la voluntad del Creador Universal, -ELOÍ-, y la Ley Cósmica, en armonía con todos.

20. Gracias, Creador Universal; todo va bien en todos los aspectos de mi vida, a nivel físico, mental, emocional y espiritual. Gracias, Eloí, todo va bien en mis practicas espirituales y en mi relación Contigo; Tú y yo formamos una unidad perfecta, armónica, aquí y ahora, en el eterno presente. Yo soy Tú, Tú eres yo. Te amo.

21. Voy a realizar –obtener o resolver- (mencionar), antes del: (fecha), de acuerdo al orden divino y en armonía con todos. (Si se trata de varios objetivos, anótelos y haga la afirmación y visualización con cada uno de ellos. Imagínelo concluido satisfactoriamente sin imponer canal alguno de manifestación.)

22. Tengo serenidad y calma imperturbable. Soy impasible frente a todo y a todos. No tengo temor a nada, a nadie ni de nadie en ningún nivel físico, mental, emocional, espiritual y financiero. Dentro de mí vibra la seguridad total. Tengo completa confianza en la vida y en mi propia capacidad de resolver situaciones y alcanzar los resultados satisfactorios que preciso, en cada caso, siempre.

A continuación anoté la fecha: Lunes 12 de agosto de 1967. Luego, tal como me lo indicó el Venerable hombre, anoté la fecha que correspondía veintidós días después: 03 de septiembre de 1967.

Acto seguido, me senté cómodamente, tomé tres respiraciones profundas y realicé la meditación.

Luego, cada noche, durante veintidós días, a las once en punto, me iba a mi cuarto, daba indicaciones de no ser interrumpido durante veinte minutos y realizaba la meditación del día, la cual, siempre complementaba con la lectura breve de uno de los libros de cabecera que siempre suelo tener en mi mesa de noche.

Iba notando, día a día como emergía de mi interior una nueva y desconocida fortaleza, seguridad, estado de ánimo contento, actitud más decidida, optimismo frente a la vida y a las situaciones; comencé a llevarme mejor en las relaciones con las demás personas, a ser más comedido en todo y sobre todo comenzaba a tener conciencia de cosas que antes me solían pasar desapercibidas.

Cabe destacar que, en el punto número veintiuno de la meditación, había anotado siete objetivos que desde hacía tiempo quería realizar y para mi sorpresa, treinta días después de haber terminado de efectuar la meditación del manuscrito número veintidós comencé a observar como, en forma aparentemente casual se iban manifestando la resultados de cada uno de ellos hasta que, algunos meses después, antes de la fechas previstas, los había realizado todos, menos dos, por lo cual, me senté y volví a anotar, en una hoja de mi cuaderno, otros diez objetivos, encabezados por los dos pendientes de la lista anterior, les puse la fecha tope a cada uno, antes de la cual debían ser logrados, para seguir visualizando, su logro, periódicamente.

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viernes, 27 de septiembre de 2013

Reincarnazione e rinascita, Sri Aurobindo


Reincarnazione e rinascita

Sri Aurobindo


La rinascita

La teoria della rinascita è antica quasi quanto il pensiero stesso, e la sua origine è sconosciuta. Noi possiamo, a seconda delle nostre convinzioni pregresse, accettarla come frutto di una antica esperienza psicologica sempre rinnovabile e verificabile, e quindi vera, oppure non liquidarla come dogma filosofico e teoria ingegnosa, ma in entrambi i casi la dottrina, anche se è, con tutta evidenza, tanto antica quanto il pensiero umano stesso, è suscettibile di resistere fino a quando l’essere umano continuerà a pensare.

Anticamente la dottrina era conosciuta in Europa con il grottesco nome di trasmigrazione, che la associava nella mente occidentale con l’immagine comica dell’anima di Pitagora che migrava, come uno strano uccello di passo dalla umana forma divina nel corpo di un porcellino d’India o di un asino.

L’apprezzamento filosofico della teoria si espresse nell’ammirevole ma difficilmente padroneggiabile parola greca metempsicosis, che indica il reincarnarsi in un nuovo corpo da parte di una medesima individualità psichica. La lingua greca riesce a coniugare sempre felicemente pensiero e parola, e non poteva trovare un’espressione migliore; ma nella forzata traduzione inglese la parola diventa semplicemente lunga e pedante e senza serbare niente del suo sottile significato in greco, per cui deve essere abbandonata. "Reincarnazione" è adesso il termine comunemente usato, ma la parola rende un’idea soltanto grossolana o esteriore del fatto, suscitando perciò molti interrogativi. Io preferisco rebir", poiché il termine rende il senso del termine sanscrito, ampio e oggettivo, e tuttavia adeguato, punarjanma, "nascere di nuovo", che ci trasmette soltanto l’idea fondamentale che è l’essenza e la vita della dottrina.

Rebirth (rinascita) è per la mente moderna niente più che una speculazione teorica; non è mai stata provata dalla scienza moderna in modo tale da soddisfare la nuova mente critica, educata alla cultura scientifica. E d’altro canto non se ne è mai dimostrata la falsità, poiché la scienza moderna non sa niente di una possibile vita anteriore o posteriore dell’anima umana; in realtà essa non sa niente dell’anima né nulla può saperne, poiché i suoi confini sono il corpo, il cervello, i nervi, l’embrione, la sua formazione e il suo sviluppo.
Né la critica moderna dispone di alcun apparato tramite il quale la verità o la falsità della rinascita possa essere stabilita.  
In realtà la critica moderna, con tutte le sue pretese di investigazione scrupolosa e di certezze affidabili, non è una buona cercatrice della verità. Al di fuori della sfera di ciò che è immediatamente fisico essa è praticamente impotente: riesce a scoprire bene i dati, ma solo laddove i dati stessi abbiano già in se stessi la loro conclusione; non può in nessun modo essere sicura delle generalizzazioni che, a partire da questi dati, afferma con grande certezza nel corso di una generazione, per poi rinnegarle in quella successiva. Non può in alcun modo provare con certezza la verità o la falsità di un’asserzione storica incerta, e dopo un secolo di dispute non è stata neppure capace di dirci se Gesù sia o no esistito.
Come potrebbe quindi trattare un problema come la rinascita che appartiene alla psicologia e deve essere trattato secondo l’evidenza psicologica piuttosto  che quella fisica ? Le prove che di solito vengono portate dai sostenitori e dagli oppositori sono spesso deboli o insignificanti; anche quelle più plausibili  sono insufficienti a provare o confutare qualunque cosa. Un argomento spesso sostenuto in modo vincente nella confutazione è che noi non ricordiamo le nostre vite passate e quindi non ci sono vite passate. Fa sorridere un tale ragionamento fatto molto seriamente da chi pensa di essere qualcosa di più di un bambino intellettuale. L’argomentazione procede su base psicologica e tuttavia ignora la vera natura della nostra memoria ordinaria o fisica, che è tutto ciò che l’uomo ordinario può adoperare. Quanto ricordiamo delle nostre vite presenti, quelle che stiamo senza dubbio vivendo al momento ? La nostra memoria è di norma buona riguardo agli avvenimenti a noi vicini, ma diventa più vaga o meno precisa quando comincia ad allontanarsi dall’attualità; se si va ancora più indietro si ricordano soltanto alcuni punti salienti, infine – per quanto riguarda l’origine delle nostre vite – si cade in un vuoto assoluto. Ricordiamo forse anche semplicemente di esser stati dei bambini sul petto di nostra madre ?
E tuttavia quel momento dell’infanzia era – non soltanto nelle teorie buddiste – parte della nostra vita e appartiene allo stesso individuo che non riesce a ricordarlo allo stesso modo in cui non ricorda le vite passate. Tuttavia noi pretendiamo che questa memoria fisica – la memoria del rozzo cervello di un uomo che non riesce a ricordare la sua infanzia e ha perduto così tanto dei suoi primi anni – ricordi ciò che c’era prima dell’infanzia, prima della nascita, prima che essa stessa si formasse. E se non ci riesce dobbiamo dire: "la teoria della reincarnazione si dimostra falsa". La pretenziosa insipienza del nostro comune ragionamento umano non potrebbe mostrarsi meglio che in questo genere di argomentazioni. Ovviamente le nostre vite passate, sia come fatto che come stato o nei loro eventi ed immagini, possono essere ricordati soltanto da una memoria psichica il cui risveglio va oltre i limiti del fisico e risveglia impressioni ben diverse da quelle registrate dai movimenti cerebrali fisici sull’essere fisico.
Anche se avessimo la prova della memoria fisica delle vite passate o di un tale risveglio psichico, dubito comunque che la suddetta teoria verrebbe considerata dimostrata. Oggi noi abbiamo molti di questi esempi sostenuti con sicurezza, sebbene senza quell’apparato di evidenza verificata e scrupolosamente presa in esame che dà peso ai risultati della ricerca scientifica; lo scettico li considererà sempre come mera finzione ed immaginazione, a meno che non siano confermati da una solida base di evidenza. Persino se i fatti sostenuti fossero dimostrati veri, c’è la possibilità di affermare che non si tratta davvero di ricordi ma di fatti noti alla persona che li sostiene tramite semplici mezzi fisici o che gli sono stati suggeriti da altri e vengono contrabbandati per memorie di reincarnazione o ingannando consapevolmente gli altri o per via di un auto–inganno e auto–allucinazione.
Anche supponendo che l’evidenza fosse troppo forte e non suscettibile di obiezioni, così da non poter essere sospettata degli inganni suddetti, si potrebbe non accettarla come prova di reincarnazione, e la mente potrebbe escogitare un centinaio di spiegazioni teoriche per questi fatti.
Il pensiero e la ricerca moderna hanno introdotto questo dubbio riguardante tutte le teorie e le generalizzazioni psichiche.
Sappiamo ad esempio che riguardo al fenomeno della scrittura automatica o della comunicazione da parte dei morti si discute se il fenomeno provenga dall’esterno, da menti disincarnate o dall’interno, dalla coscienza subliminale; o se la comunicazione sia reale e provenga direttamente dalla personalità disincarnata, o sia il risalire in superficie di una impressione telepatica che proveniva dalla mente della persona allora in vita, ma rimasta nel profondo della nostra mente subliminale. Lo stesso genere di dubbio può essere opposto alle prove della memoria di reincarnazione. Si potrebbe sostenere che esse dimostrano il potere di una certa misteriosa facoltà in noi, una coscienza che può avere una conoscenza inesplicabile di eventi passati, ma che questi eventi potrebbero appartenere a personalità diverse dalla nostra e che l’attribuzione che ne facciamo alla nostra personalità in vite passate è una immaginazione, un’allucinazione o un esempio di quell’auto–appropriazione di cose ed esperienze percepite ma non nostre, che è uno dei fenomeni comprovati di errore mentale. Molto potrebbe essere dimostrato dall’abbondanza di tali prove, ma non per lo scettico e tanto meno a rinascita.
Certamente, se esse fossero sufficientemente ampie, esatte, dettagliate, precise, creerebbero un’atmosfera che alla fine condurrebbe ad una generale accettazione della teoria da parte della specie umana come certezza morale.
Ma la prova è una cosa diversa.
Dopotutto la maggior parte delle cose che accettiamo come verità sono in fondo niente più che certezze morali. Noi abbiamo la ferma convinzione che la terra ruoti sul suo asse, ma – come è stato sottolineato da un grande matematico francese – la cosa non è mai stata provata, è soltanto una teoria che spiega certi fenomeni osservabili, niente di più. Chissà che essa non possa essere sostituita a breve da una teoria migliore o peggiore ? Tutti i fenomeni astronomici conosciuti venivano spiegati bene tramite le teorie delle sfere e non so cos’altro, prima che Galileo venisse fuori con il suo "Eppur si muove…" disturbando l’infallibilità ......de la scienza e la logica dei dotti. Si può certamente pensare che altre ammirevoli teorie potrebbero essere inventate per spiegare la gravitazione se la nostra mente non fosse già pregiudizialmente convinta dalle precedenti teorie di Newton, questo l’atavico limite della nostra ragione, poiché essa parte dall’ignoranza, dal non sapere, e ha a che fare con infinite possibilità: le spiegazioni possibili di ogni fenomeno – finché non sappiamo permanete cosa sta dietro di esso – sono infinite. In definitiva noi conosciamo veramente soltanto ciò che osserviamo e anche questo è soggetto ad un dubbio angosciante, per esempio se il verde sia davvero verde e il bianco davvero bianco, per quanto sembri che il colore non sia colore, ma qualcos’altro che crea la sua apparenza. Oltre il fatto osservabile dobbiamo contentarci di una logica ragionevolmente soddisfacente, probabilità dominante e certezza morale. Almeno finché non abbiamo il buon senso di osservare che ci sono in    noi facoltà più alte della ragione dipendente dai sensi e che aspettano uno sviluppo per mezzo del quale possiamo arrivare a certezze più grandi.
Per quanto riguarda la teoria della rinascita, non possiamo realisticamente  sostenere in contrapposizione allo scettico una tale probabilità dominante o una tale certezza. L’evidenza esterna disponibile è rudimentale. Pitagora fu uno dei più grandi saggi, ma il suo asserire di aver combattuto a Troia col nome di Antenoride e di essere stato ucciso dal figlio più giovane di Atreo è soltanto un’asserzione e il suo riconoscere lo scudo troiano non convincerà nessuno che non sia già realmente convinto; le prove odierne non sono in alcun modo convincenti di quella di Pitagora. In assenza di una prova esteriore, che è la sola definitiva per i nostri intelletti sensitivi governati dalla materia, abbiamo l’argomentazione dei reincarnazionisti, i quali sostengono che la loro teoria spiega tutto meglio di qualunque altra. La pretesa è giusta, ma non dà alcuna certezza. La teoria della rinascita, associata con quella del karma ci dà una semplice, simmetrica, bella spiegazione delle cose; ma anche la teoria delle sfere ci dava una semplice, simmetrica, bella spiegazione dei movimenti celesti. Tuttavia abbiamo adesso un’altra spiegazione, molto più complessa, molto più gotica e incerta nella sua simmetria, un ordine inesplicabile che si evolve da infiniti caotici, che noi accettiamo come la verità delle cose (). E tuttavia, se vogliamo soltanto pensare, ci renderemo conto forse che anche questa non è l’intera verità, c’è dietro molto di più che non abbiamo ancora scoperto. E quindi la semplicità, la simmetria, la bellezza, l’adeguatezza della teoria della reincarnazione non è garanzia della sua certezza.
Se entriamo nei dettagli l’incertezza cresce. La rinascita spiega ad esempio il fenomeno del genio, facoltà innata, e molti altri misteri psicologici. Ma poi arriva la scienza a spiegare tutto tramite l’ereditarietà – sebbene, come quella della reincarnazione, anche questa teoria sia soddisfacente soltanto per coloro che già ci credono. Senza dubbio le pretese della teoria dell’ereditarietà sono state esagerate in maniera assurda: essa è riuscita a spiegare molto, non tutto della nostra composizione fisica, del nostro temperamento, delle nostre peculiarità vitali. Il suo tentativo di spiegare il genio, le facoltà innate e altri fenomeni psicologici di tipo più alto è un pretenzioso fallimento. Questo può essere dovuto al fatto che la scienza non conosce nulla di fondamentale circa la nostra psicologia, non più di quanto gli astronomi primitivi sapessero della costituzione e delle leggi degli astri, i cui movimenti tuttavia essi osservarono con sufficiente precisione. Non credo che neanche quando la scienza conoscerà più e meglio essa sarà in grado di spiegare queste cose tramite l’ereditarietà, ma lo scienziato potrà sostenere di essere soltanto all’inizio della sua ricerca e dire che la generalizzazione che ha dato conto di così tante cose potrebbe dar conto di tutto; e dirà che in ogni caso la sua ipotesi era fondata su prove dimostrabili più di quanto non lo fosse la teoria della reincarnazione.
Tuttavia, la tesi del reincarnazionista è sinora una tesi valida e degna di rispetto, sebbene non definitiva. Ma ce n’è un’altra avanzata con più clamore che mi sembra fare il paio con il ragionamento opposto dell’assenza di memoria, almeno nella forma in cui viene di solito avanzato per convincere le menti poco mature. L’argomento etico, per mezzo del quale si tenta di giustificare le vie di Dio con il mondo o il modo in cui va il mondo. Si pensa che ci debba essere un governo morale del mondo, o almeno una qualche ricompensa nel cosmo per la virtù e una qualche punizione per il peccato. Ma nel nostro incerto e caotico mondo terrestre non sembra esserci una tale sanzione. Vediamo infatti che il buono è oppresso dalle miserie mentre il cattivo prospera e non viene miseramente schiacciato alla fine. Ora questo è intollerabile, è una crudele anomalia che ci induce ad una riflessione sulla giustizia e la saggezza divine ed è quasi la prova che Dio non esiste; dobbiamo porvi rimedio e se Dio non c’è dobbiamo avere delle altre ricompense per la giustizia.
Come sarebbe confortante se potessimo stabilire chi è buono, e persino quanto – non dovrebbe infatti essere il Supremo un ragioniere preciso e affidabile? – giudicandolo in base alla quantità di burro che riesce a mettere nello stomaco, al numero di rupie che può depositare in banca e alla fortuna che lo assiste. E come sarebbe confortante anche se potessimo additare il cattivo smascherato e gridargli: "Tu sei cattivo: se infatti non lo fossi potresti forse, in un mondo governato da Dio, o almeno dal Bene, essere così miserabile, affamato, sfortunato, perseguitato dal dolore, non onorato dagli uomini?  
La tua cattiveria è dimostrata dal fatto che sei povero, la giustizia di Dio si compie". Poiché per fortuna l’intelligenza suprema è più saggia e più nobile dell’infantilismo dell’uomo, questo è semplicemente impossibile. Ma c’è un altro modo! _ possibile che, se l’uomo buono non è abbastanza fortunato, non possiede abbastanza burro e rupie, egli potrebbe in realtà essere un cattivo che sconta le sue pene – ma un cattivo nella sua vita passata che adesso ha preso un nuovo corso; e se invece un uomo cattivo prospera nel mondo è per via del fatto che è stato buono in una vita passata, il savio di allora essendosi adesso convertito al culto del peccato, forse perché aveva sperimentato la vanità temporale della virtù. Tutto viene spiegato, tutto viene giustificato. Noi soffriamo per i peccati commessi in un altro corpo, verremo ricompensati in un altro corpo per le nostre virtù attuali, e così andremo avanti all’infinito. Nessuna meraviglia che i filosofi abbiano trovato tutto questo assurdo e proposto come rimedio il liberarsi sia dalla virtù che dal vizio, vedendo come il bene più grande quello di poter in qualche modo sfuggire ad un mondo così assurdo.
Ovviamente questo schema delle cose è soltanto una variazione della vecchia concezione della minaccia e promessa spirituale e materiale, la promessa di un paradiso di gioia per i buoni e la minaccia di un inferno di fuoco eterno e di torture per i cattivi. L’idea della Legge che regola il mondo come dispensatrice di ricompense e punizioni va insieme all’idea dell’essere supremo come giudice, "padre" e maestro che sempre ricompensa con caramelle i bravi bambini mentre punisce con la bacchetta quelli cattivi, anche vicino al barbaro e insipiente sistema di punizione, talvolta selvaggio e sempre degradante, riguardo alle offese sociali, su cui è fondata una società umana ancora incapace di trovare e organizzare un sistema più soddisfacente.
L’uomo insiste continuamente sul rendere Dio a sua immagine, invece di cercare di rendere se stesso sempre più ad immagine di Dio, e tutte queste idee sono il riflesso del bambino, del selvaggio, dell’animale che è in noi, che ancora non siamo riusciti a trasformare o a sviluppare.
Dovremmo meravigliarci di come queste fantasie infantili siano state riprese da gruppi di spiritualidad filosoficamente profonde come il Buddismo e l’Induismo, se non fosse chiaro che gli uomini non si negheranno il vezzo di trasportare i detriti del loro passato sin nei più profondi pensieri dei loro saggi.
Non c’è dubbio che, dato il rilievo di queste idee, esse debbano aver avuto la loro utilità nell’educazione dell’umanità. Forse è vero che il Supremo tratta l’anima bambina adattandosi al suo infantilismo e le permette di mantenere le sue immagini corporee di paradiso e inferno per qualche tempo, anche dopo la morte del copro fisico.
Forse anche queste idee di dopo–morte e rinascita come occasioni di punizione e ricompensa erano necessarie perché si adattavano alla nostra animalità semi–mentalizzata. Ma a un certo punto il sistema cessa di essere efficace: gli uomini credono nel paradiso e nell’inferno, ma vanno avanti peccando allegramente, affrancati alla fine dall’indulgenza ..... o dall’assoluzione finale........, o dal pentimento sul letto di disincarnazione on da un bagno nel Gange, o da una disincarnazione santa a Benares: sono questi gli accorgimenti infantili per mezzo dei quali sfuggiamo al nostro infantilismo.
Alla fine la mente cresce e mette da parte con disprezzo l’intero armamentario da asilo infantile. La teoria della rinascita come ricompensa e punizione, in termini un po’ più elevati e meno crudamente sensazionali, risulta inefficace. Ed è bene che sia così, poiché è intollerabile che l’uomo con la sua capacità divina continui ad essere virtuoso ai fini di una ricompensa ed eviti il peccato soltanto per paura, _ preferibile un forte peccatore ad un virtuoso codardo ed egoista, o a un meschino patteggiatore con Dio, c’è più divinità in lui, più capacità di elevazione.
In verità, ha detto bene la Ghita:
"Anime povere e misere sono quelle che pensano ed agiscono solo in base a quello che ne ricavano". Ed è inconcepibile pretendere di fondare il sistema di  questo mondo vasto e maestoso su queste motivazioni così grette e meschine.
C’è una motivo di verità in queste teorie? _ solo la ragione del bambino infantile. C’è un’etica, ma è soltanto l’etica del fango. Il vero fondamento della teoria della rinascita è l’evoluzione dell’anima, o piuttosto il suo riaffiorare dal velo della materia e il suo graduale ritrovarsi.
Il Buddismo conteneva questa verità nella sua teoria del Karma e dell’emersione dal karma, ma non è riuscito a farla emergere l’Induismo; la conosceva anticamente, ma ha sbagliato nel formularla. Ora noi siamo nuovamente in grado di riformulare l’antica verità in un nuovo linguaggio e questo già viene fatto da alcune scuole di pensiero, sebbene le antiche incrostazioni tendano ancora ad attaccarsi ad una saggezza più profonda. E se questo graduale riemergere è vero, allora la teoria della rinascita è una necessità intellettuale, un corollario logicamente inevitabile.
Ma qual è lo scopo di questa evoluzione ? Non la virtù convenzionale o interessata ed il preciso conteggio del bene, nella speranza di una ricompensa materiale proporzionata, ma la crescita continua verso una conoscenza, amore e purezza divine. Queste cose soltanto sono la virtù reale e questa virtù è la sua stessa ricompensa. L’unica vera ricompensa degli atti di amore è crescere nella capacità e nella delizia dell’amore fino all’estasi dell’abbraccio universale dello spirito e della passione universale; l’unica ricompensa delle opere di giusta Conoscenza è il crescere all’infinito nella Luce infinita, l’unica ricompensa delle opere di giusto Potere è essere sempre più il depositario della Forza divina, quella delle opere pure è di essere sempre più liberi dall’egoismo in una immacolata vastità, nella quale tutte le cose si trasformano e si riconciliano nell’eguaglianza divina.
Ricercare altra ricompensa significa restare legati ad una ignoranza sciocca e infantile e persino il considerare queste cose come una ricompensa è segno di immaturità e di imperfezione.
E che cosa dire di sofferenza e felicità, sfortuna e prosperità ? Esse sono esperienze dell’anima nel suo addestramento, aiuti, strumenti, mezzi, discipline, prove – la prosperità è spesso una prova più difficile della sofferenza. In realtà l’avversità, la sofferenza possono essere considerate più una ricompensa della virtù che non una punizione del peccato, poiché sono il più grande aiuto e purificazione dell’anima che cerca di dispiegarsi.
Considerarle semplicemente come il severo premio di un giudice, l’ira di un regnante irritato o persino il risultato meccanico del male significa farsi l’opinione più superficiale possibile dei procedimenti di Dio con l’anima e della legge che regola l’evoluzione del mondo. E cosa dire della prosperità mondana, della ricchezza, della progenie, del godimento esteriore di arte, bellezza e potere ? Buoni se possono essere acquisiti senza perdita per l’anima e goduti soltanto come il fluire della Grazia e della Gioia divina sulla nostra esistenza materiale. Ma cerchiamoli dapprima per gli altri o piuttosto per tutti e per noi stessi solo come parte della condizione universale o come mezzo di avvicinamento alla perfezione.
L’anima non ha bisogno delle prove della rinascita più di quanto abbia bisogno di quelle dell’immortalità. Perché viene un tempo in cui essa è coscientemente immortale, consapevole di sé nella sua essenza eterna e immutabile. Una volta che questa realizzazione si è compiuta, tutte le diatribe intellettuali pro o contro l’immortalità dell’anima cadono come un vano clamore di ignoranza attorno a verità che sono evidenti e sempre presenti [Tato na vicikitsate = egli più non discute]. Il vero, dinamico credere nell’immortalità si ha quando essa diventa per noi non un dogma intellettuale ma un fatto evidente come il fatto fisico del nostro respiro, senza nessun bisogno di essere dimostrato. Così anche c’è un momento in cui l’anima diventa consapevole di se stessa nel suo movimento eterno e mutevole, allora essa è consapevole delle età passate che costituiscono lo sviluppo attuale del suo movimento, e vede come questo sia stato preparato in un passato ininterrotto; ricorda qualcosa dei passati stati dell’anima, degli ambienti, delle particolari forme di attività che hanno formato il suo modo di essere attuale e sa verso dove si dirige tramite uno sviluppo in un futuro ininterrotto. Questo è il vero dinamico credere nella rinascita e anche qui cessa il gioco delle domande intellettuali; la visione e la memoria dell’anima sono tutto.
Certamente rimane la domanda riguardante il meccanismo di sviluppo e le leggi della rinascita, nelle quali l’intelletto, le sue ricerche e le sue generalizzazioni possono ancora giocare un ruolo. Qui quanto più si pensa e si esperimenta, tanto più l’ordinaria, semplice, nuda idea della reincarnazione sembra di dubbia validità. C’è di sicuro una complessità maggiore, una legge che segue un andamento più difficile, una più complessa armonia delle possibilità dell’Infinito. Ma questa è una domanda che richiede considerazioni più lunghe ed ampie, poiché "c’è una legge sottile in esso": Anur hyesha dharmah.
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La reincarnazione dello Spirito

Il pensiero umano, per la maggior parte degli uomini, non è altro che una rozza e cruda accettazione acritica di idee. La nostra mente è una sentinella sonnolenta e poco attenta che permette il passaggio a qualunque cosa sembri formulata decentemente o che abbia un’apparenza plausibile o che borbotti qualcosa che abbia un’apparenza di familiarità. Ed è specialmente così nelle questioni sottili che si allontanano dai fatti concreti della nostra vita e del nostro ambiente fisico. Persino uomini che ragionano con attenzione e acutamente di cose ordinarie e che considerano la vigilanza rispetto agli errori come un dovere pratico o intellettuale, si accontentano di sciocchezze inconsistenti quando si ritrovano su un terreno più alto e più difficile.
Laddove la precisione ed il pensiero sottile sono più necessari, proprio lì essi sono più impazienti e non si dedicano al faticoso lavoro richiesto. Gli uomini riescono a padroneggiare un pensiero sottile a proposito di cose palpabili, ma pensare in modo sottile di cose sottili è uno sforzo troppo grande per il nostro rozzo intelletto; così ci accontentiamo di un superficiale colpo di pennello, proprio come il pittore che scaglia il suo pennello contro la tela perché non riesce ad ottenere l’effetto desiderato.
Scambiamo lo scarabocchio che ne risulta per la forma perfetta di una verità. Non sorprende quindi che gli uomini si accontentino di pensare rozzamente a proposito di una questione come la rinascita. Quelli che l’accettano la prendono così come gli viene proposta, come una teoria nuda e cruda o un dogma. L’anima rinasce in un nuovo corpo – questa asserzione vaga e quasi priva di significato è per loro sufficiente. Ma che cos’è l’anima ? E che cosa significa rinascita di un’anima? Bene, significa reincarnazione; l’anima, qualunque cosa essa sia, è venuta fuori da una struttura corporea e rientra in un’altra. Sembra semplice – lasciateci dire. Come il Djinn del racconto arabo che viene fuori dalla lampada e poi ci rientra o forse come il cuscino viene fuori da una fodera e infilato in un’altra. Oppure l’anima si forma da se stessa un corpo già nel grembo della madre e poi lo occupa; o ancora si spoglia da un abito di carne e ne indossa un altro. Ma che cos’è questa cosa che "lascia" un corpo ed "entra" in un altro? _ un altro, un corpo psichico e una forma sottile che entra in una forma corporea grossolana, forse il Purusha dell’immagine antica, non più grande di un pollice, oppure è qualcosa senza forma in sé, impalpabile, che si incarna nel senso di diventare o prendere una forma palpabile di carne ed ossa percepibile ai sensi ?
Nella concezione ordinaria comune non si parla di nascita dell’anima, ma soltanto di nascita di un nuovo corpo occupato da una vecchia personalità, che non è cambiata dal momento in cui ha lasciato la sua forma fisica ora disaggregata. _ John Robinson che è venuto fuori da quella forma corporea che una volta occupava, è John Robinson che domani o fra alcuni secoli si reincarnerà in un altro corpo e riprenderà il ciclo delle sue esperienze terrene sotto altro nome e in un altro luogo Achille rinasce come Alessandro figlio di Filippo il Macedone, vincitore non di Ettore ma di Dario, in un ambito più  vasto con destini più grandi, ma è sempre Achille, la stessa personalità che è rinata, solo che sono diverse le circostanze fisiche. _ questo sopravvivere della stessa personalità che attrae oggi la mente europea nella teoria della reincarnazione. Poiché è difficile per chi è innamorato della vita accettare l’idea dell’estinzione o dissoluzione della personalità, di questo composto fisico, nervoso e mentale che chiamiamo me stesso.
Ed è la promessa della sua sopravvivenza e della sua ricomparsa fisica ciò che maggiormente attrae.
L’ostacolo che si frappone all’accettazione di questo è l’ovvia non sopravvivenza del ricordo. La memoria è l’uomo, dice la psicologia moderna, e a cosa serve che la mia personalità sopravviva se non ricordo il mio passato, se non sono consapevole di essere la stessa persona ancora e sempre ? Qual è il senso ? Dove sta la felicità ? Gli antichi pensatori indiani – non sto parlando della credenza popolare piuttosto rozza e non rifletteva affatto su questo – ma gli antichi pensatori buddisti e vedantici consideravano la cosa da un punto di vista molto differente.
Essi non erano attaccati alla sopravvivenza della personalità, non davano a questa sopravvivenza l’alto nome di immortalità; capivano che essendo la personalità ciò che è, un composto che cambia di continuo, la sopravvivenza di una personalità identica era un non senso, una contraddizione in termini.
Essi percepivano invero che c’è una continuità e cercarono di scoprire che cosa determini questa continuità e se il senso di identità che ne fa parte sia un’illusione o la rappresentazione di un fatto, di una verità reale; e se è così, quale fosse questa verità. I Buddisti negarono ogni identità reale. Non c’è – essi dissero – nessun sé, nessuna persona, ma semplicemente un continuo fluire di energia in azione che è come il fluire continuo di un fiume o il continuo bruciare di una fiamma. _ questa continuità che crea nella mente un falso senso di identità. Io non sono adesso la stessa persona che ero un anno fa, e neanche la stessa persona che ero un momento fa, non più di quanto l’acqua che scorre laggiù sia la stessa acqua che scorreva pochi secondi fa; è il persistere del flusso nello stesso canale che preserva la falsa apparenza di identità. Ovviamente quindi non c’è nessuna anima che si reincarni, ma soltanto un karma che persiste fluendo continuamente in un canale apparentemente ininterrotto. _ il Karma che si reincarna; il karma crea la forma di una mente che cambia costantemente e i corpi fisici, che sono, possiamo presumere, il risultato di quel cangiante composto di idee e sensazioni che chiamiamo me stesso. L’identico "Io" non c’è, non c’è mai stato né mai ci sarà. Praticamente, fino a quando persiste l’errore della personalità, questo non fa molta differenza e io posso dire, nel linguaggio dell’ignoranza, che sono rinato in un nuovo corpo; praticamente devo procedere sulla base di quell’errore. Ma c’è un punto importante che si è compreso: che è tutto un errore e un errore che può cessare; il composto si può disaggregare per sempre senza riformarsi di nuovo, la fiamma può spegnersi, il canale che si denominava fiume può essere distrutto. Allora c’è il non–essere, c’è la cessazione, la liberazione dell’errore da se stesso.
Il Vedantino arriva ad una conclusione diversa: egli ammette un’identità, un sé, una persistente realtà immutabile – ma che è diversa dalla mia personalità, diversa dal composto che chiamo me stesso. Nella Katha Upanishad il problema è posto in modo molto istruttivo, quasi opposto all’argomento che stiamo trattando. Nachiketas, mandato da suo padre nel mondo della Morte, così chiede a Yama, il Signore di quel mondo: Dell’uomo che è andato avanti, che è trapassato, alcuni dicono che egli è, altri che "egli non è"; chi ha ragione? qual è la verità del grande passaggio? Questa è la forma della domanda e a prima vista sembra che sollevi semplicemente il problema dell’immortalità nel senso europeo della parola, il sopravvivere dell’identica personalità. Ma questo non è quello che Nachiketas chiede. Egli ha già preso, come il secondo dei tre doni che gli sono stati offerti da Yama, la conoscenza della Fiamma sacra per mezzo della quale l’uomo vince la fame e la sete, si lascia dietro il dolore e la paura e dimora nel paradiso eternamente felice.
L’immortalità in quel senso egli la ritiene già garantita, poiché già sta in quel mondo ulteriore. La conoscenza che egli chiede comporta il problema più profondo, più sottile, del quale Yama afferma che persino gli dei ne discutono da molto, e che non è facile da conoscere, perché la sua legge è sottile; sopravvive qualcosa che sembra essere la stessa persona, che discende nell’inferno, che sale al cielo, che ritorna sulla terra in un nuovo corpo, ma è davvero la stessa persona che sopravvive in questo modo ? Possiamo dire davvero dell’uomo "Egli è ancora", o dobbiamo piuttosto dire "Egli non è più" ? Anche Yama nelle sue risposte non parla della sopravvivenza alla morte, e concede soltanto uno o due versi alla nuda descrizione della costante rinascita che tutti i pensatori seri ammettevano come una verità universalmente riconosciuta.
Ciò di cui parla è il Sé, l’Uomo reale, il Signore di tutte queste apparenze cangianti; senza la conoscenza di quel Sé la sopravvivenza della personalità  non è una vita immortale ma un costante passare dalla morte alla morte; soltanto colui che va oltre la personalità sino alla vera Persona diventa immortale. Fino ad allora sembra che l’uomo nasca di nuovo e ancora per mezzo della forza della sua conoscenza e delle opere, il nome succede al nome, la forma alla forma, ma non c’è immortalità.
Questa dunque è la domanda posta, alla quale Buddisti e Vedantini rispondono in modo così differente. C’è un costante riformarsi di personalità in nuovi corpi, ma questa personalità è una creazione mutevole di una forza al lavoro che si spinge in avanti nel tempo e non è mai, neppure per un momento, la stessa; e il senso dell’ego, che fa sì che noi ci attacchiamo alla vita del corpo, e crediamo facilmente che questa sia la stessa idea e forma, che questo John Robinson, rinato come Sidi Hossain, è una creazione della mente.
Achille non è rinato come Alessandro, ma il flusso di forza nelle sue opere che ha creato la costante mutevolezza del corpo e della mente di Achille ha continuato a fluire e ha creato la costante mutevolezza del corpo e della mente di Alessandro. Tuttavia, dice l’antico Vedanta, c’è qualcosa al di là di questa forza in azione, il Maestro di essa, uno che fa sì che essa crei per lui nuovi nomi e forme: questo è il Sé, il Purusha, l’Uomo, la Vera Persona. Il  senso dell’ego è soltanto la sua immagine distorta riflessa nel fluire continuo della mente corporea.
Allora è il Sé che si incarna e si reincarna ? Ma il Sé è imperituro, immutabile, non nasce e non muore. Il Sé non è nato e non esiste nel corpo; piuttosto è il corpo che è nato ed esiste nel Sé. Perché il Sé è uno dappertutto – in tutti i corpi, noi diciamo, ma in realtà non è confinato e parcellizzato in corpi diversi, tranne che, come l’etere che tutto costituisce, sembra prendere forma in oggetti diversi e in un certo senso in essi si ritrova. Piuttosto, tutti questi corpi sono nel Sé, ma anche questo è una immaginazione della concezione spaziale, e in definitiva questi copri sono soltanto simboli e figure di se stesso, creati da esso nella sua propria Coscienza. Persino ciò che noi chiamiamo l’anima individuale è più grande del suo corpo e non meno, più sottile di esso e di conseguenza non limitata dalla sua grossolanità. Al momento della disincarnazione non abbandona la sua forma, ma se ne spoglia, così che una grande Anima che fa la sua dipartita può dire di questa disincarnazione, con una frase vigorosa, "ho sputato via il corpo". Che cosa è dunque ciò che percepiamo come l’abitante della struttura fisica ? Che cosa è ciò che l’anima si porta via dal corpo quando getta via questo involucro fisico che avvolgeva non essa, ma una parte dei suoi componenti? Che cos’è quello la cui dipartita produce questo strappo violento, questa lotta veloce e il dolore della partenza, creando questo senso di violento divorzio ? La risposta non ci aiuta molto. _L’involucro sottile o psichico che è legato al fisico dalle corde del cuore, dalle corde della energia di vita, dall’energia nervosa che è stata intessuta in ogni fibra fisica. _ Questo che il Signore del corpo si porta via e lo strappo violento o il rapido o lento allentarsi delle corde della vita, la fuoruscita della forza di connessione, è questo che costituisce il dolore della disincarnazione e la sua difficoltà.
Cambiamo dunque la forma della domanda e chiediamoci piuttosto cos’è che riflette e accetta la personalità mutevole, poiché il Sé è immutabile ? Noi abbiamo infatti un Sé immutabile, una Persona reale, Signore di questa personalità che cambia sempre, che, di nuovo, prende corpi che cambiano sempre; ma il Sé reale si conosce sempre al di sopra del mutamento, lo osserva e ne gioisce, ma non è coinvolto in esso. Per mezzo di che cosa esso gode dei cambiamenti e li avverte come suoi, anche se sa di non esserne toccato? La mente e il senso dell’ego sono soltanto strumenti inferiori, deve esserci quindi una qualche più essenziale forma di se stesso che l’Uomo Reale mette avanti, mette di fronte a sé, per così dire, e dietro ai cambiamenti, per sostenerli e rispecchiarli senza essere in realtà cambiato da essi. Questa forma più essenziale è, o sembra essere nell’uomo, l’essere mentale o la persona mentale di cui parlano le Upanishad come del leader mentale della vita e del corpo (manomayah prana–sharira–neta). _ questo che sostiene il senso dell’ego come una funzione nella mente e ci permette di avere la ferma percezione di una identità continua nel Tempo come opposta all’identità senza tempo del Sé.
La personalità che cambia non è questa persona mentale, è un insieme di materiali diversi della Natura, una formazione di Prakrti, e non è per niente il Purusha. Ed è un composto molto complesso, con molti strati: c’è uno strato fisico, uno strato nervoso, uno strato mentale, persino uno strato finale di personalità sopra–mentale; e all’interno di questi stessi strati ci sono strati dentro ognuno di essi. L’analisi degli strati successivi della terra è una faccenda semplice. Se paragonata all’analisi di questa creazione meravigliosa che chiamiamo la personalità. L’essere mentale, nel riprendere la vita corporea, forma una nuova personalità per la sua nuova esistenza terrestre; prende dalla materia comune materiale inorganico e organico, materiale mentale del mondo fisico e durante la vita terrestre assorbe costantemente materiale fresco, getta via ciò che è usato, cambiando i suoi tessuti fisici, nervosi e mentali.
Ma tutto questo è lavorio di superficie; dietro di esso c’è il retroterra dell’esperienza passata, che viene tenuto dietro la memoria fisica, affinché la consapevolezza superficiale non sia turbata e non ci siano interferenze con il fardello consapevole del passato, ma ci si possa concentrare sul lavoro attuale. Tuttavia questo retroterra di passata esperienza è il nocciolo della personalità e più di questo. _ Il nostro vero tesoro, al quale possiamo far ricorso anche a prescindere dal nostro superficiale rapporto con ciò che ci circonda. Questo rapporto si aggiunge alle nostre conquiste, modifica il retroterra in vista di un’esperienza successiva.
Inoltre tutto questo è di nuovo superficie, è soltanto una piccola parte di noi stessi che vive e agisce nelle energie della nostra esistenza terrena. Come dietro l’universo fisico ci sono dei mondi dei quali il nostro è soltanto un risultato ultimo, così anche dentro di noi ci sono mondi della nostra autoesistenza che proietta questa forma esterna del nostro essere. Il subcosciente, il sovracosciente sono oceani dai quali e verso i quali scorre questo fiume. Di conseguenza parlare di noi stessi come di un’anima che si reincarna è dare un’apparenza troppo semplice al prodigio della nostra esistenza; è un tradurre in una formula troppo grossolana la magia del Mago supremo. Non c’è una definita entità psichica che prenda un involucro di carne, c’è una metempsicosi, un riprendere l’anima, un rinascere di una nuova personalità psichica così come c’è la nascita di un nuovo corpo. E dietro di questo c’è la Persona, l’entità che non cambia, il Signore che manipola questo materiale complesso, l’Artefice di questo meraviglioso artificio.
Questo è il punto di partenza dal quale dobbiamo procedere nel considerare il problema della rinascita. Considerarci come questa o quell’altra personalità che prende un muovo involucro di carne è restare impigliati nell’ignoranza, confermare l’errore della mente materiale e dei sensi. Il corpo è un’opportunità, la personalità è una formazione costante del cui sviluppo l’azione e l’esperienza costituiscono gli strumenti, ma il Sé tramite il volere del quale per la delizia del quale tutto questo avviene è diverso dal corpo, diverso dall’azione e dall’esperienza, diverso dalla personalità che essi sviluppano. Ignorarlo è ignorare l’intero segreto del nostro essere.

(Traduzione di M. Furru e G. Elia)

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