miércoles, 6 de marzo de 2013

MEDITAZIONE: Jiddu Krishnamurti


MEDITAZIONE

 Jiddu Krishnamurti



l’uomo ha inventato molte forme di meditazione, basate sul desiderio, sulla volontà e sull’avidità di conseguimenti, che implicano il conflitto e una lotta per raggiungere il successo. (in tale sforzo conscio e deliberato risente sempre dei limiti della mente condizionata, e non c’è libertà in ciò. Ogni sforzo di meditare è la negazione stessa della meditazione.
La meditazione è la fine del pensiero. Solo allora si ha una dimensione diversa al di là del tempo.
marzo 1979


     Para emanciparse de los propios conflictos, el ser humano ha experimentado con muchas variantes de meditación, basadas sobre el deseo, la voluntad y la avidez de los logros, que implican el conflicto y una acción para alcanzar el éxito. En ese esfuerzo consciente y deliberado se resiente, siempre, de los límites de la mente condicionada, y en esto no hay libertad. Cada esfuerzo para meditar es la negación misma de la meditación.

La meditación es el cese del pensamiento. Solamente entonces se tiene una dimensión diferente más allá del tiempo. 

Una mente meditativa

 è silenziosa. Non quel silenzio che può essere concepito dal pensiero; non il silenzio di una placida sera; ma quel silenzio che sorge quando il pensie­ro, con tutte le sue immagini, tutte le sue parole e tutte le sue percezioni, è interamente cessato. Questa mente meditativa è la mente religiosa: la religione in cui non vi sono chie­se, templi, canti.
La mente religiosa è l’esplosione dell’a­more: l’amore che non conosce separazione. Per questo amore il lontano è vicino. Non è l’uno né i molti, bensì quello stato di amore in cui cessano tutte le divisioni. Come la bel­lezza, non è a misura delle parole. Solo a partire da questo silenzio agisce la mente medi­tativa.

La meditazione è una delle più grandi ar­ti della vita,

forse la più grande, e non la si può assolutamente imparare da nessuno, questa è la sua bellezza. Non c’è tecnica e quindi non c’è autorità. Quando imparate qualcosa su di voi, osservatevi, osservate il modo in cui camminate, il modo in cui man­giate, ciò che dite, le chiacchiere, l’odio, la gelosia: se siete consapevoli di tutte queste cose dentro di voi, senza alternativa, ciò fa parte della meditazione.
Può esserci meditazione, dunque, quando sedete in un autobus o passeggiate in un bo­sco pieno di luce e di ombre, o ascoltate il canto degli uccelli o guardate il viso di vostra moglie o del vostro bambino.

È strano come la meditazione divenga to­talizzante;

non ha fine né principio. È come una goccia di pioggia: in quella goccia ci sono tutti i corsi d’acqua, i grandi fiumi, i mari e le cascate; la goccia nutre la terra e l’uomo: senza quella goccia la terra sarebbe un deser­to. Senza la meditazione il cuore diventa un deserto, una landa desolata.

Meditazione è scoprire

se il cervello, con tutte le sue attività, le sue esperienze, può essere assolutamente acquietato. Non costret­to, perché quando c’è costrizione, c’è dualità. L’entità che dice: «Vorrei avere esperienze meravigliose, perciò devo costringere il mio cervello a essere quieto», non ci riuscirà mai. Ma se cominciate a indagare, a osservare, ad ascoltare tutti i movimenti del pensiero, i suoi condizionamenti, i suoi slanci, le sue paure, i suoi piaceri, a guardare come fun­ziona, allora vedrete che il cervello diventerà estremamente quieto; una quiete che non è sonno ma è straordinariamente attiva e quin­di è quiete. Una grossa dinamo che funzioni perfettamente, quasi non fa rumore; soltanto quando c’è attrito c’è rumore.

Il silenzio e la vastità si accompagnano.

L’immensità del silenzio è l’immensità della mente in cui non esiste un centro.

La meditazione è ardua.

Esige la più al­ta forma di disciplina: non vuole conformi­smo, non vuole imitazione, non vuole obbe­dienza, ma vuole una disciplina che passi attraverso la costante consapevolezza delle cose fuori di te e delle cose dentro di te. La me­ditazione, quindi, non è attività nell’isolamento, bensì azione nella vita quotidiana che esige cooperazione, sensibilità e intelligenza. Senza il fondamento di una vita retta la me­ditazione diventa una fuga e non ha più valore. Una vita retta non è obbedienza alla morale sociale, bensì libertà dall’invidia, dalla cupidigia e dalla ricerca del potere, che ge­nerano l’inimicizia. La libertà da questi mali non passa attraverso l’attività della volontà, ma attraverso la consapevolezza che ne acquistiamo con l’autoconoscenza. Senza cono­scere le attività del sé la meditazione diventa esaltazione dei sensi e perde ogni significato.

La continua ricerca di esperienze più va­ste,

più profonde e trascendenti è una forma di fuga dalla realtà effettiva di “ciò che è”, vale a dire da noi stessi, dalla nostra mente con­dizionata. Perché una mente sveglia, intelli­gente, libera, dovrebbe aver bisogno di espe­rienze, perché dovrebbe avere “esperienze”? La luce è luce; non richiede altra luce.

La meditazione è una cosa tra le più straordinarie.

Non conoscerla vuol dire essere come un cieco in un mondo di colori splendenti, di ombre e luci cangianti. Non è questione di intelletto, ma, quando il cuore entra nella mente, la mente assume una qua­lità completamente diversa; diviene realmen­te illimitata, non solo quanto alla sua capa­cità di pensare, di agire in modo efficace, ma anche per la sensazione di vivere in un vasto spazio nel quale siamo parte di tutto.
La meditazione è il movimento dell’amore. Non l’amore del singolo o di molti. È come l’acqua che tutti possono bere da qualsia­si recipiente, che sia un vaso d’oro o una brocca d’argilla: è inesauribile. E accade una cosa particolare, che né le droghe né l’autoi­pnosi possono dare: è come se la mente entrasse in se stessa, dapprima alla superficie, per poi penetrare sempre più profondamen­te, finché profondità e altezza non hanno più senso e ogni sistema di misura scompare. In questo stato vi è una pace totale, non la sod­disfazione che deriva dalla gratificazione, mauna pace che ha in sé ordine, bellezza e in­tensità. Può essere distrutta, così come si può distruggere un fiore, eppure, proprio a causa della sua vulnerabilità, è indistruttibile. Que­sta meditazione non la si può apprendere da un altro. Dovete cominciare senza saperne nulla e muovervi nell’innocenza.
Il terreno in cui può nascere la mente me­ditativa è quello della vita quotidiana, la lot­ta, il dolore e la gioia fugace. È lì che deve nascere, e recare ordine, e da lì muoversi all’infinito. Ma se vi interessa solo l’ordine, al­lora l’ordine stesso porterà con sé il proprio limite, e la mente ne sarà prigioniera. In que­sto movimento dovete in qualche modo co­minciare dall’altro estremo, dalla sponda opposta, e non curarvi soltanto di questa spon­da e di come attraverserete il fiume. Dovete gettarvi nel fiume senza saper nuotare. E il bello della meditazione è che non sapete mai dove siete, dove andate e qual è la meta.

La meditazione non è qualcosa di diverso dalla vita quotidiana;

non rintanatevi in un angolo della stanza a meditare dieci minuti per poi andare a fare i macellai, e non solo in senso metaforico.
La meditazione è una delle cose più serie. Potete meditare tutto il giorno, in ufficio, con la famiglia, quando dite a qualcuno: «Ti amo», mentre osservate i vostri figli. Ma poi gli insegnate a divenire soldati, a uccidere, a identificarsi con la nazione, a venerare la bandiera, li educate a entrare in questa trap­pola del mondo moderno.
Osservare queste cose, rendersi conto del vostro ruolo in esse, fa parte della meditazio­ne. E quando meditate così vi scoprirete una bellezza straordinaria; agirete rettamente in ogni momento; e se per una volta sbagliate non importa, lo farete di nuovo senza perder tempo con i rimpianti. La meditazione è parte della vita, non è qualcosa di diverso.

Se hai intenzione di meditare,

non sarà me­ditazione. Se hai intenzione di essere buono, la bontà non fiorirà mai. Se coltivi l’umiltà, essa cessa di essere. La meditazione è come la brezza che entra quando lasci la finestra aperta; ma se di proposito la tieni aperta, di proposito la inviti a venire, non apparirà mai.

La meditazione non è un mezzo per un fine.

È insieme e il mezzo e il fine.

Che cosa straordinaria è la meditazione!

Se è una qualsiasi costrizione, un qualsiasi sforzo per far sì che il pensiero si adatti, per spingerlo a imitare, allora la meditazione diviene un pesante fardello. Il silenzio che si desidera cessa di essere illuminante; se è inteso a procurare visioni ed esperienze, allora porta all’illusione e all’autoipnosi. Solo nel fiorire del pensiero e nella sua conseguente cessazione la meditazione ha senso; il pensie­ro può fiorire solo nella libertà, non nell’al­largarsi dei modelli di conoscenza. La cono­scenza può dare esperienze sempre nuove, sempre più sensazionali, ma una mente sem­pre alla ricerca di esperienze di qualsiasi ge­nere è immatura. La maturità è la libertà da ogni esperienza; non è più sottoposta a nes­suna influenza sia a essere sia a non essere.
La maturità nella meditazione è la libera­zione della mente dalla conoscenza, poiché questa forma e controlla tutta l’esperienza. Una mente che è luce per se stessa non ha bi­sogno di esperienza. Immaturità è bramare una maggiore e più vasta esperienza. Meditazione significa spaziare attraverso il mondo della conoscenza ed esserne liberi per entrare nell’ignoto.

Dovete scoprirlo da soli,

senza l’aiuto di  nessuno. Abbiamo avuto l’autorità degli insegnanti, dei redentori e dei maestri. Se volete davvero scoprire cosa sia la meditazione, do­vete mettere assolutamente, totalmente da parte ogni autorità.

Felicità e piacere

possono essere acquistati in qualsiasi mercato per una data somma. Ma la beatitudine non ha prezzo: non potete comperarla né per voi stessi né per un altro. La felicità e il piacere sono vincolati al tem­po. La beatitudine esiste solo nella libertà totale. Il piacere e la felicità possono essere cercati, e trovati, in molti modi. Ma vanno e vengono. La beatitudine, quella misteriosa sensazione di gioia, non ha motivo. Non po­tete cercarla. Quando c’è, a seconda della qualità della mente, rimane lì: eterna, incausata, non misurabile in termini di tempo. Meditazione non è inseguire il piacere o ri­cercare la felicità. Meditazione, al contrario, è uno stato mentale in cui non vi sono con­cetti né formule, e quindi c’è libertà totale. La beatitudine viene, non cercata e non invi­tata, solo in una simile mente. Una volta li, per quanto possiate vivere nel mondo con tutto il suo rumore, i suoi piaceri e la sua brutalità, questi non potranno toccare la mente. Una volta lì, il conflitto è cessato. Ma la fine del conflitto non equivale necessariamente alla libertà totale. Meditazione è la mente che si muove in questa libertà. In tale esplosione di beatitudine gli occhi diventano innocenti, e l’amore diviene benedizione.

Non so se avete mai notato

che quando prestate un’attenzione totale c’è un completo silenzio. E in quell’attenzione non ci sono confini, non c’è un centro, un “io” consapevole o attento. Quell’attenzione, quel silen­zio, sono uno stato di meditazione.

Quasi mai facciamo caso

al latrato di un cane o al pianto di un bambino o alla risata dell’uomo che ci passa accanto. Ci separiamo da tutto e da questo isolamento guardiamo e ascoltiamo le cose. Questa separazione è di­struttiva, perché contiene ogni conflitto e ogni confusione. Se tu ascoltassi il suono di quelle campane con assoluto silenzio, quel suono ti porterebbe al di là della valle e oltre la collina. La sua bellezza si sente solo quan­do tu e il suono non siete separati, quando tu ne sei parte. La meditazione è la fine della se­parazione, una fine che non si ottiene con un’azione della volontà o del desiderio.
La meditazione non è qualcosa di separato dalla vita; è l’essenza stessa della vita, l’es­senza stessa del vivere quotidiano. Ascoltare quelle campane, udire la risata di quel conta­dino che passeggia con la moglie, ascoltare il trillo del campanello sulla bicicletta di quella ragazzina: ecco la totalità della vita, e non soltanto un frammento, che la meditazione schiude.

Meditazione è vedere ciò che è

e trascebderlo.

La percezione priva della parola,

cioè pri­va del pensiero, è uno dei fenomeni più mi­steriosi. Una tale percezione è molto più acu­ta, e interessa non solo il cervello, ma tutti gli altri sensi. Non è la percezione frammentaria dell’intelletto né riguarda le emozioni; pos­siamo definirla una percezione totale, ed è parte della meditazione. La percezione senza un soggetto che percepisce in ,meditazione vuol dire comunicare con l’altezza e la profondità dell’immenso. È una percezione totalmente diversa dal vedere un oggetto sen­za un osservatore, perché nella percezione della meditazione non c’è un oggetto e quin­di non c’è esperienza. Eppure la meditazione può aver luogo quando abbiamo gli occhi aperti e siamo circondati da oggetti di ogni tipo. Ma questi oggetti non hanno la minima importanza. Li vediamo, ma non c’è nessun processo di riconoscimento, e ciò significa che non c’è nessuna esperienza.
Cosa significa tale meditazione? Non si­gnifica nulla, non serve a nulla. Ma in quella meditazione c’è un movimento di grande estasi, un’estasi che non va confusa con il piacere. È l’estasi che conferisce innocenza all’occhio, al cervello e al cuore. Se non vediamo la vita come qualcosa di totalmente nuovo, è una routine, una noia, una cosa insignificante. Per questo la meditazione è della massima importanza. Apre la porta all’ine­stimabile, all’immenso.

La meditazione non è mai nel tempo;

il tempo non può portare mutamento; può portare un cambiamento che deve essere cambiato di nuovo, come tutte le riforme; la meditazione che nasce dal tempo è sempre condizionante, in essa non c’è libertà e senza libertà c’è sempre scelta e conflitto.

Dobbiamo cambiare la struttura della no­stra società,

la sua ingiustizia, la sua orribile morale, le divisioni che ha creato fra uomo e uomo, le guerre, l’assoluta mancanza di affet­to e amore che sta distruggendo il mondo. Se la vostra meditazione è solo una faccenda personale, una cosa di cui godete personalmente, allora non è meditazione. La medita­zione implica un cambiamento completo, ra­dicale, della mente e del cuore, che è possi­bile solo quando c’è questo straordinario senso di silenzio interiore, e quello solo dà vita alla mente religiosa. Quella mente cono­sce ciò che è sacro.

Bellezza significa sensibilità,

un corpo sen­sibile, e ciò vuol dire una dieta equilibrata, un retto modo di vivere. Allora la mente, ine­vitabilmente e spontaneamente, senza accorgersene, diventerà quieta. Non potete acquietarla voi, perché siete voi che create di­scordia, che siete turbati, in ansia, confusi: come potreste acquietare la mente? Ma quando comprendete cos’è la quiete, quando comprendete cos’è la confusione, cos’è il dolore e se potrà mai aver fine, e quando com­prendete il piacere, allora la mente sarà straordinariamente quieta; non avrete biso­gno di cercarla. Dovete cominciare dal prin­cipio e il primo passo è anche l’ultimo; que­sta è meditazione.

Meditare è non essere condizionati dal tempo.


Meditazione non è fuggire dal mondo;

non è un isolarsi e chiudersi in sé, è piuttosto comprendere il mondo e le sue vie. Il mondo ha poco da offrire tranne il cibo, i vestiti e la casa, e il piacere con i suoi grandi dolori.
Meditazione è deviare da questo mondo, diventargli totalmente estraneo. Allora il mondo ha un significato, e la bellezza del cie­lo e della terra è costante. Allora l’amore non è piacere. Da ciò prende le mosse l’azione che non è il risultato della tensione, della contraddizione, della ricerca e dell’autosod­disfazione o della vanità del potere.

Se assumi deliberatamente un atteggiamento,

una posizione per meditare, allora la meditazione diventa un giocattolo, un tra­stullo della mente. Se decidi di districarti dalla confusione e dall’infelicità della vita, allora diventa un’esperienza dell’immaginazione, e questa non è meditazione. La mente conscia o la mente inconscia non devono avervi parte; non devono neppure essere consapevoli dell’estensione e della bellezza della medita­zione, se no, tanto varrebbe leggersi un ro­manzo.
Nella totale attenzione della meditazione non c’è conoscenza, non c’è riconoscimento, non c’è il ricordo di qualcosa che sia già av­venuto. Tempo e pensiero sono totalmente cessati, poiché sono il centro che limita la vi­sione.
Nel momento della luce il pensiero dile­gua e lo sforzo conscio di sperimentarla e ri­cordarla è la parola che e stata. E la parola non è mai il reale. In quel momento – che non appartiene al tempo – il definitivo è l’immediato, ma quel definitivo non ha simboli, non appartiene a nessuna persona, a nessun dio.

Meditazione è scoprire

se c’è un campo     che non è stato già contaminato dal conosciuto.

Meditazione è il fiorire della comprensione.

La comprensione non avviene entro i confini del tempo, il tempo non porta mai comprensione. La comprensione non è mai un processo graduale, da portare avanti un poco per volta con cura e pazienza. La com­prensione è ora o mai; è una fiamma distrut­tiva, non è qualcosa di indifferente; è di que­sta distruzione che si ha paura e così la si evi­ta, coscientemente o no. La comprensione può modificare il corso della vita di un uo­mo, il modo di pensare e di agire; può essere piacevole o no ma è comunque un rischio per l’intero rapporto con la realtà. Ma senza comprensione il dolore continuerà. Il dolore termina solo con l’autoconoscenza, con la consapevolezza di ogni pensiero e sentimen­to, di ogni movimento del conscio e di ciò che è celato. Meditazione è la comprensione della coscienza, quella celata e quella manife­sta, e del movimento situato oltre tutto il pensiero e il sentimento.

Era una delle più splendide mattine

mai sorte sul mondo. Il sole stava spuntando e tu lo vedevi tra l’eucalipto e il pino. Era sull’ac­qua, dorato, brunito: una luce che esiste solo al confine tra le montagne e il mare. Era una mattina così luminosa, senza un alito di ven­to, piena di quella strana luce visibile non solo con gli occhi, ma anche col cuore. E quan­do la vedi il cielo è vicinissimo alla terra e ti perdi nella bellezza. Sai, non dovresti mai meditare in pubblico, o con un’altra persona, o in gruppo: dovresti meditare solo in solitu­dine, nella quiete notturna o nella pace della mattina. Quando mediti in solitudine, che sia solitudine. Devi essere completamente solo, non seguire un sistema, un metodo, non ri­petere parole, inseguire pensieri o formulare pensieri assecondando il tuo desiderio.
Questa solitudine viene quando la mente è libera dal pensiero. Quando c’è l’influsso del desiderio o delle cose che la mente inse­gue, nel futuro o nel passato, non c’è solitu­dine. Tale solitudine viene solo nell’immen­sità del presente. E allora, in quella quieta segretezza in cui ogni comunicazione è terminata, in cui non c’è nessun osservatore con le sue angosce, con le sue stupide voglie e i suoi problemi, solo allora, in quella quieta solitu­dine, la meditazione diviene qualcosa che non può essere espresso a parole. La medita­zione diviene un movimento eterno.
Non so se hai mai meditato, se sei mai stato solo con te stesso, lontano da tutto, da ogni persona, da ogni pensiero e desiderio, se sei mai stato completamente solo, non iso­lato, non chiuso in un sogno o in una visione di fantasia, ma lontano, tanto che in te non vi è nulla di identificabile, nulla che tu possa toccare con il pensiero o il sentimento, così lontano che in questa assoluta solitudine il si­lenzio stesso diviene il solo fiore, la sola luce, e la qualità senza tempo che non è misurabi­le dal pensiero.
Solo in questa meditazione l’amore vive. Non preoccuparti di esprimerlo: l’amore si esprimerà da sé. Non usarlo. Non cercare di metterlo in atto: agirà e, quando lo farà, in quell’azione non vi sarà pentimento, non vi sarà contraddizione, non vi sarà infelicità o pena umana.
Quindi medita solo. Perditi. E non cercare di ricordare dove sei stato. Se cerchi di ri­cordarlo, allora sarà qualcosa di morto. E se ti afferri al suo ricordo, non sarai mai più solo. Così, medita in quella solitudine infinita, nella bellezza di quell’amore, in quell’inno­cenza, nel nuovo. Allora c’è quella beatitudi­ne che è immortale.

Il cielo è di un azzurro intenso,

quell’az­zurro che viene dopo la pioggia, e queste piogge sono cadute dopo molti mesi di sic­cità. Dopo la pioggia il cielo è terso e le colline sono colme di gioia e la terra è placida. E su ogni foglia brilla la luce del sole, e la sen­sazione della terra ti è vicinissima. Così, medita nei recessi più segreti del tuo cuore e della tua mente, dove non sei mai stato prima.

La meditazione non è un mezzo diretto a un fine:

non c’è né fine né arrivo; la medi­tazione è un movimento nel tempo e fuori del tempo. Ogni pensiero, ogni metodo lega il pensiero al tempo, mentre la consapevolez­za acritica di ogni pensiero e sentimento, la comprensione delle loro motivazioni, dei lo­ro meccanismi, il permettergli di fiorire, è l’i­nizio della meditazione. Quando pensiero e sentimento fioriscono e muoiono, la medita­zione è movimento oltre il tempo. In questo movimento c’è estasi; nel vuoto completo c’è amore, e con l’amore c’è distruzione e crea­zione.

Meditazione è quella luce nella mente

che illumina la strada dell’azione, e senza quella luce non c’è amore.

La meditazione non è mai preghiera.

La preghiera, la supplica, nasce dall’autocommi­serazione. Si prega quando si è in difficoltà, quando c’è il dolore; ma quando c’è felicità, gioia, non c’è supplica. Questa autocommise­razione, così profondamente radicata nell’uo­mo, è la radice della separazione. Ciò che è separato, o che si crede separato, sempre alla ricerca dell’identificazione con qualcosa che non sia separato, crea solo maggiore divisione e pena. Dal fondo di questa confu­sione si invoca il cielo, o il proprio marito, o qualche divinità della mente. Questa invoca­zione può trovare una risposta, ma la rispo­sta è l’eco dell’autocommiserazione nella sua separazione.
La ripetizione di parole, di preghiere, è autoipnotica, autocircoscrivente e distruttiva. Il pensiero si isola nel campo di ciò che già conosce, e la risposta alla preghiera è la ri­sposta di ciò che il pensiero già conosce.
La meditazione è lontana da tutto ciò. In quel campo il pensiero non può entrare; non c’è nessuna separazione e quindi nessuna identità. La meditazione è all’aperto; non ha segreti. Tutto è esposto, chiaro. Allora la bel­lezza dell’amore è.

Questa mattina

la qualità della meditazione era il nulla, il vuoto totale di tempo e spazio. È un dato di fatto e non un’idea, né il paradosso di contrastanti speculazioni. Si trova questo strano vuoto quando la radice di tutti i problemi si inaridisce. Questa radice è il pensiero, il pensiero che divide e mantiene. Nella meditazione la mente si svuota effetti­vamente del passato, sebbene possa usare il passato come pensiero. Ciò continua per tutto il giorno, e durante la notte il sonno è il vuoto di ieri; perciò la mente tocca ciò che è senza tempo.

Meditazione non è il puro controllo del corpo e del pensiero,

né un sistema di inspi­razione ed espirazione. Il corpo deve essere immobile, in salute e senza alcuna tensione; la percezione deve essere resa più acuta ein­tensa; e la mente che chiacchiera, che distur­ba e che brancola deve acquietarsi. Non bi­sogna cominciare dal corpo, piuttosto biso­gna fare attenzione alla mente, con le sue opinioni, i suoi pregiudizi e il suo egocentri­smo. Quando la mente è sana, vitale e vigo­rosa, la percezione sarà più intensa ed estre­mamente sensibile. Allora il corpo, con la sua intelligenza naturale, non macchiata dall’abi­tudine e dall’inclinazione, funzionerà come deve.
Così, bisogna cominciare dalla mente e non dal corpo, e per mente intendo il pensiero e le sue molte espressioni. La mera con­centrazione rende il pensiero ristretto, limitato e calcolatore, ma la concentrazione viene come una cosa naturale quando c’è la consa­pevolezza delle vie del pensiero. Questa con­sapevolezza non deriva dal pensatore che sceglie e scarta, che si aggrappa e rifiuta. Questa consapevolezza è priva di scelta ed è allo stesso tempo l’esterno e l’interno; è un flusso tra i due, così che la divisione tra esterno e interno ha fine.
Il pensiero distrugge la percezione, la per­cezione che è amore. Il pensiero può offrire solo il piacere, e nell’inseguimento del piacere l’amore è spinto da parte. Il piacere di mangiare, di bere, trova la sua continuità nel pensiero, e non ha senso limitarsi a controllare o reprimere questo piacere prodotto dal pensiero; in questo modo si creano solo varie forme di conflitto e costrizione.
Il pensiero, che è materia, non può ricercare ciò che è al di là del tempo, perché il pensiero è memoria, e l’esperienza racchiusa nella memoria è morta come le foglie dell’au­tunno passato.
Nella consapevolezza di tutto ciò viene l’attenzione, che non è frutto della disatten­zione. È stata la disattenzione a determinare le piacevoli abitudini del corpo e a rendere ottusa la percezione. La disattenzione non può essere trasformata in attenzione. La consapevolezza della disattenzione è attenzione.
La visione di tutto questo processo com­plesso è meditazione, e solo la meditazione può dare ordine a questa confusione: un ordine assoluto come quello matematico, da cui si produce l’azione, l’agire immediato. L’ordine non è disposizione, forma e misura: queste cose vengono molto dopo. L’ordine nasce in una mente che non è ingombra degli oggetti del pensiero. Quando il pensiero tace c’è il vuoto, che è ordine.

Era davvero un fiume meraviglioso,

ampio, profondo, con tante città sulle rive, così spensieratamente libero eppure senza mai lasciarsi andare. C’era tutta la vita sulle sue ri­ve, campi verdi, foreste, case solitarie, morte, amore e distruzione; c’erano lunghi, ampi ponti al di sopra, eleganti e funzionali. Altri corsi d’acqua e fiumi vi confluivano, ma quel fiume era la madre di tutti i fiumi, piccoli e grandi. Era sempre pieno e sempre puro, e di sera era una benedizione contemplarlo, col colore sempre più fondo delle nuvole, e le sue acque d’oro. Il piccolo rivolo d’acqua, lontano, lassù fra quelle gigantesche rocce che sembravano tutte concentrate a produrlo, era l’inizio della vita, e la sua fine era ol­tre le sue rive e oltre i mari.
La meditazione era come quel fiume, solo che non aveva né principio né fine; comin­ciava, e la sua fine era il suo principio. Non c’era alcuna causa e il suo movimento era il suo rinnovarsi. Era sempre nuova, mai si condensava per invecchiare; mai si corrom­peva, poiché non aveva radici nel tempo. È bene meditare senza far forza e senza fare sforzi, cominciando con un rivolo d’acqua fino ad arrivare oltre il tempo e oltre lo spazio, dove il pensiero e il sentimento non possono entrare, dove non c’è esperienza.

Meditazione è la totale liberazione dell’e nergia.


Nello spazio che il pensiero si crea

ntor­no non c’è amore. Questo spazio divide l’uo­mo dall’uomo, e in esso è contenuto tutto il divenire, la lotta della vita, la sofferenza e la paura. La meditazione è la fine di quello spazio, la fine dell’“io”. Allora i rapporti hanno un significato del tutto diverso, perché in quello spazio che non è prodotto dal pensie­ro l’altro non esiste, tu non esisti.
Meditazione non è quindi ricerca di una visione, per quanto sancita dalla tradizione. È piuttosto lo spazio infinito in cui il pensie­ro non può penetrare. Per noi quel piccolo spazio che il pensiero si costruisce intorno, che è l’“io”, è estremamente importante, perché è tutto quel che la mente conosce, iden­tificandosi con tutto ciò che vi è racchiuso. E la paura di non essere nasce in quello spazio. Ma nella meditazione, quando si comprende ciò, la mente può entrare in una dimensione dello spazio nella quale l’azione è non azione.
Non sappiamo cosa sia l’amore, perché nello spazio che il pensiero si crea intorno come “io”, l’amore è il conflitto dell’“io” con il “non-io”. Questo conflitto, questo tormento, non è amore.
Il pensiero è la negazione stessa dell’amore, e non può penetrare in quello spazio in cui l’“io” non è più. Quello spazio contiene la benedizione che l’uomo cerca senza succes­so. La cerca entro i confini del pensiero, ma il pensiero distrugge l’estasi di quella benedi­zione.

La fede non è necessaria,

e neppure gli ideali. Sia l’una che gli altri dissipano l’ener­gia che serve per seguire lo svolgersi del reale, di “ciò che è”. La fede, come gli ideali, è una fuga dalla realtà, e nella fuga non c’è fi­ne al dolore. La fine del dolore è la com­prensione della realtà momento per momen­to. Non esiste un sistema o un metodo che dia la comprensione, ma solo una consapevolezza della singola realtà che sia priva di scelta. Meditare seguendo un sistema signifi­ca evitare la realtà di ciò che si è; è assai più importante capire se stessi, il costante mutare delle realtà che ci riguardano, anziché me­ditare per trovare dio o avere visioni, sensa­zioni e altre forme di distrazione.

Meditazione a quell’ora era libertà,

era come entrare in un mondo sconosciuto di bel­lezza e di quiete: un mondo senza immagini, simboli e parole, senza onde di memoria. L’amore era la morte di ogni minuto e ogni mor­te era il rinnovarsi dell’amore. Non era attac­camento, non aveva radici; fioriva senza una causa ed era una fiamma che bruciava tutti i confini, tutte le barriere della coscienza eret­te con tanta cura. Era bellezza al di là di pensiero e sentimento; non era dipinta su tela, né espressa in parole o incisa nel marmo. La meditazione era gioia e con la gioia veniva una benedizione.

La frontiera dell’amore è la meditazione.


Nella meditazione si deve scoprire

se la conoscenza può aver fine, se può esservi li­bertà dal conosciuto.

Era piovuto molto durante la notte

e il giorno successivo, e dalla gola il torrente fan­goso si gettava nel mare dandogli un colore come di cioccolata. Mentre camminavi sulla spiaggia le onde enormi si frangevano impe­tuosamente disegnando una magnifica curva. Camminavi contro vento e all’improvviso hai avuto la sensazione che non vi fosse nulla tra te e il cielo, e quell’apertura era il paradiso. Essere totalmente aperti, vulnerabili – alle colline, al mare e all’uomo – è l’essenza stes­sa della meditazione.
Non avere resistenze, non avere barriere interiori nei confronti di nulla, essere realmente, totalmente liberi da tutti gli impulsi, le costrizioni e i bisogni insignificanti, con i loro futili conflitti e ipocrisie, vuol dire camminare nella vita a braccia aperte. E quella sera, camminando li sulla sabbia bagnata, cir­condato dai gabbiani, sentivi la sensazione straordinaria di una vasta libertà e la grande bellezza dell’amore che non è in te o al di fuori di te, ma ovunque.
Non ci rendiamo conto di quanto sia importante essere liberi dai piaceri che ci tormentano e dalle loro pene, affinché la mente rimanga sola. Soltanto la mente totalmente sola è aperta. Lo hai sentito all’improvviso, come un forte vento che spazzava la terra pe­netrando dentro di te. Ed ecco che eri spo­glio di tutto, vuoto, e perciò assolutamente aperto. La bellezza di tutto ciò non stava nelle parole o nella sensazione, ma sembrava essere ovunque: intorno a te, dentro di te, sul­l’acqua e nelle colline. La meditazione è que­sto.

Meditazione non è concentrazione,

vale a dire esclusione, separazione, resistenza e quindi conflitto. Una mente meditativa può concentrarsi, e in questo caso non c’è esclu­sione e resistenza, ma una mente concentrata non può meditare.

C’è amore nella comprensione della me­ditazione,

e l’amore non è il prodotto di si­stemi, di abitudini, dell’aver seguito un me­todo. L’amore non può essere coltivato dal pensiero. L’amore può forse nascere quando c’è un completo silenzio, un silenzio in cui colui che medita è del tutto assente; e la mente può essere silenziosa solo quando comprende i propri movimenti come pensie­ro e sentimento. Per comprendere questo movimento di pensiero e di sentimento non ci deve essere condanna nell’osservarlo. Os­servare in questo modo è disciplina, e questo tipo di disciplina è fluido, libero, non quella disciplina che deriva dal conformismo.

Quel mattino il mare era come un lago

o un fiume enorme: senza un’onda, e così cal­mo che ci potevi vedere il riflesso delle stel­le. Era molto presto, l’alba non era ancora spuntata e nell’acqua si riflettevano le stelle, la scogliera e le luci lontane della città. Quando il sole comparve all’orizzonte in un cielo terso, creò un sentiero dorato, ed era straordinario vedere quella luce della Califor­nia pervadere la terra e ogni foglia, ogni filo d’erba.
Mentre guardavi, una grande calma entrò in te. Anche il cervello divenne molto tran­quillo, senza nessuna reazione, senza un mo­vimento, ed era strano sentire quell’immensa immobilità. “Sentire” non è la parola giusta. La qualità di quel silenzio, di quella immobi­lità, non è sentita dal cervello, è al di là del cervello. Il cervello può concepire, formulare o fare un progetto per il futuro, ma questa immobilità è al di là della sua portata, al di là dell’immaginazione, al di là del desiderio. Sei così immobile che il tuo corpo diviene parte della terra, parte di tutto ciò che è immobile.
E quando una brezza leggera venne dalle colline agitando le foglie, quell’immobilità, quello straordinario silenzio, non furono tur­bati. La casa era tra le colline e il mare, e dava sul mare. E mentre guardavi il mare, così calmo, tu sei diventato davvero parte di tutto. Eri tutto. Eri la luce, e la bellezza dell’a­more. Ma anche dire «tu eri parte di tutto» è sbagliato: la parola «tu» è inadeguata, perché in realtà tu non c’eri. Non esistevi. C’era solo quell’immobilità, la bellezza, il senso straordinario dell’amore.

Le parole “tu” e “io” separano le cose.

Tale divisione non esiste in questo strano silenzio e in questa immobilità. E mentre guardavi dalla finestra, lo spazio e il tempo sembravano giunti alla fine, e lo spazio che divide non aveva realtà. Quella foglia e l’eucalipto e l’ac­qua blu e splendente non erano diversi da te.
La meditazione è davvero semplicissima. Siamo noi a renderla complicata, intessendole intorno una ragnatela di idee su cos’è e cosa non è. Ma la meditazione non è nulla di tutto ciò. Ci sfugge proprio perché è così semplice, perché la nostra mente è così com­plicata, così consumata, e dipendente dal tempo. E questa mente detta le azioni del cuore, e così cominciano i problemi. Ma la meditazione viene naturalmente, con una straordinaria facilità, quando cammini sulla sabbia o guardi dalla finestra o vedi quelle meravigliose colline bruciate dal sole della scorsa estate. Perché noi esseri umani siamo così torturati, perché abbiamo le lacrime agli occhi e una falsa risata sulle labbra? Se tu potessi camminare da solo tra queste colline o nei boschi, o lungo quelle candide spiagge, in quella solitudine, sapresti cos’è la medita­zione.
L’estasi della solitudine viene quando non hai paura di essere solo, quando non appar­tieni più al mondo o non sei attaccato a nul­la. Allora, come l’alba che è spuntata stama­ni, silenziosamente si apre un sentiero dorato in quell’immobilità che era al principio, che è ora, e che sarà per sempre.

Meditazione è un movimento entro il non conosciuto

e fuori del non conosciuto. Tu non ci sei più, c’è solo il movimento. Sei troppo piccolo o troppo grande per questo movimento, che non ha nulla davanti o die­tro di sé. È quell’energia che il pensiero-ma­teria non può sfiorare. Il pensiero è perver­sione, poiché è il frutto dello ieri; è preso al laccio dei secoli e perciò è confuso, oscuro. Qualsiasi cosa facciate, il conosciuto non può raggiungere il non conosciuto. La meditazio­ne è la morte del conosciuto.

La meditazione di una mente che sia totalmente in silenzio

è la benedizione che l’uomo sempre cerca. In questo silenzio ogni qualità del silenzio è.

Una volta che avete gettato le fondamen­ta della virtù,

che è ordine nei rapporti, na­sce questa qualità dell’amore e del morire, che è la totalità della vita; allora la mente diviene straordinariamente quieta, naturalmen­te silenziosa, non resa silenziosa dalla repres­sione, dalla disciplina e dal controllo, e quel silenzio è immensamente fertile.
Oltre a questo, nessuna parola, nessuna descrizione può essere d’aiuto. Allora la mente non fa domande sull’assoluto perché non ne ha bisogno, perché in quel silenzio c’è ciò che è. E tutto questo è la benedizione della meditazione.

Le colline erano splendide dopo la piog­gia.

Apparivano ancora bruciate dal sole esti­vo, ma presto il verde sarebbe spuntato. Era piovuto molto forte, e la bellezza di quelle colline era indescrivibile. Il cielo era ancora nuvoloso e nell’aria si spandeva il profumo del sommacco, della salvia e dell’eucalipto. Era splendido trovarsi lì in mezzo, e una stra­na quiete ti possedeva. A differenza del mare che si stendeva in lontananza, laggiù in basso, quelle colline erano perfettamente immo­bili. Osservavi e ti guardavi intorno, e avevi lasciato tutto là sotto in quella piccola casa: i tuoi vestiti, i tuoi pensieri e i tuoi eccentrici modi di vivere. Qui camminavi molto legge­ro, senza pensieri, senza pesi, e con la sensa­zione di un vuoto e di una bellezza assoluti. I piccoli cespugli verdi presto sarebbero stati ancora più verdi, e nel giro di poche settimane avrebbero emanato un profumo più in­tenso. Le quaglie lanciavano il loro richiamo e alcune si levavano in volo. Senza saperlo, la mente era in uno stato di meditazione in cui sbocciava l’amore. Dopo tutto, questo fiore può sbocciare solo nel terreno della medita­zione. Era davvero meraviglioso e, stranamente, ti seguì per tutta la notte e quando ti svegliasti, ben prima del sorgere del sole, era ancora lì nel tuo cuore con la sua gioia incre­dibile, senza alcun motivo. Era ancora lì, im­motivato e inebriante. E sarebbe rimasto per tutto il giorno senza che tu gli chiedessi di restare o lo invitassi a rimanere con te.

Su questa veranda odorosa,

quando l’al­ba è ancora lontana e gli alberi sono ancora silenziosi, la bellezza è l’essenza. Ma di que­sta essenza non si può fare esperienza; il fare esperienza deve cessare, poiché l’esperienza rafforza solo ciò che è noto. Ciò che è noto non è mai l’essenza.
La meditazione non è mai l’esperienza ul­teriore; la meditazione non è soltanto la fine dell’esperienza, che è risposta alla provoca­zione grande o piccola, ma è aprire la porta all’essenza, aprire la porta di una fornace il cui fuoco distrugge totalmente senza lasciare ceneri; non ci sono residui. Siamo noi i residui, noi, i consenzienti delle molte migliaia di ieri, una serie continua di interminabili memorie, di scelta e disperazione. Il grande io e il piccolo io sono il modello dell’esistenza, e l’esistenza è pensiero, e il pensiero è esisten­za che contiene dolore senza fine.
Nella fiamma della meditazione il pensie­ro cessa e con esso il sentimento, poiché né l’uno né l’altro è amore. Senza amore non c’è essenza; senza amore ci sono solo le ceneri su cui si basa la nostra esistenza. Dal vuoto na­sce l’amore.

La meditazione è l’atto del silenzio.


La meditazione non ha principio né fine,

non c’è in essa riuscita né fallimento, non c’è raccolto né rinuncia; è un movimento che non ha finalità, perciò è al di là e al di sopra del tempo e dello spazio. Farne esperienza vuol dire negarla, perché chi fa esperienza è vincolato al tempo e allo spazio, alla memoria e al riconoscimento. La base della vera meditazione è quella consapevolezza passiva che c’è nella totale libertà dall’autorità e dall’ambizione, dall’invidia e dalla paura. La meditazione non ha un significato, non ha al­cun valore senza questa libertà, senza l’autoconoscenza. Non c’è autoconoscenza fino a quando c’è scelta: la scelta implica un con­flitto, che impedisce la comprensione di ciò che è. Perdersi in fantasticherie, in sogni ro­mantici non è meditazione; il cervello deve spogliarsi di ogni mito, illusione e sicurezza e affrontare la realtà della loro falsità. Non esi­stono distrazioni: tutto è contenuto nel movi­mento della meditazione. Il fiore è la forma, il profumo, il colore e la bellezza: ciò che fa la sua totalità. Distruggetelo, in concreto o con le parole, e non ci sarà più il fiore, solo un ricordo di ciò che era, che non è mai il fiore. La meditazione è il fiore intero nella sua bellezza, è il suo appassire e il suo vivere.

Meditazione è libertà dal pensiero

e movi­mento nell’estasi della verità.

Grande era il silenzio a quell’ora mattuti­na

e né un uccello nè una foglia si muoveva. Una meditazione che cominciava a profon­dità sconosciute e continuava con intensità e flusso crescenti, aprì al cervello la strada ver­so un silenzio totale, scavando attraverso le profondità del pensiero, sradicando il sentimento, svuotando il cervello di ogni cosa no­ta e della sua ombra. Era un’operazione e non c’era operatore, chirurgo; procedeva come quando un medico opera un cancro, asportando ogni tessuto contaminato perché il male non si propaghi ulteriormente. Andò avanti, questa meditazione, per un’ora d’oro­logio. Ed era meditazione senza meditante. Il meditante interferisce con le sue stupidità e vanità, le sue ambizioni e la sua avidità. Il meditante è pensiero nutrito di questi con­flitti e queste offese, e il pensiero nella medi­tazione deve cessare totalmente. È questo il fondamento della meditazione.

Meditare è trascendere il tempo.

Il tempo è la distanza che il pensiero copre in tutto ciò che compie. Il pensiero viaggia sempre lungo il vecchio sentiero lastricato a nuovo, nuovo a vedersi, ma è sempre la stessa strada, che non conduce a nulla, se non alla pena e al dolore.
Solo quando la mente trascende il tempo, la verità cessa di essere un’astrazione. Allora l’estasi non è un’idea derivata dal piacere, ma una realtà che non è fatta di parole.
Svuotare la mente dal tempo è il silenzio della verità, e vedere questo è fare; non c’è pertanto divisione fra vedere e fare. Nell’in­tervallo fra vedere e fare nascono il conflitto, l’infelicità, la confusione. Ciò che non ha tempo è l’eterno.

L’alba era lenta a venire

le stelle ancora brillavano e ancora gli alberi erano ritratti in se stessi, non si udiva nessun uccello, neppu­re le piccole civette che non avevano fatto che agitarsi per tutta la notte di albero in al­bero. C’era uno strano silenzio, fatta eccezio­ne per il muggito del mare. C’era quel particolare odore di molti fiori, di foglie marce e terra umida; l’aria era assolutamente immo­bile e l’odore arrivava ovunque. La terra era in attesa dell’alba e dello spuntare del gior­no; c’era aspettativa, pazienza e una strana pace. La meditazione si accompagnava a quella pace e quella pace era amore: non l’a­more di qualcosa e di qualcuno, l’immagine e il simbolo, la parola e le figure; era semplicemente amore, senza sentimento, senza sensa­zione. Era qualcosa di completo in se stesso, nudo, intenso, senza radici e direzione. Il ri­chiamo di quell’uccello lontano era quell’a­more; quell’amore era la direzione e la distanza, esisteva, senza tempo né parola. Non era un’emozione, che svanisce ed è crudele; il simbolo, la parola possono essere sostituiti, ma la cosa no. Essendo nudo, era totalmente vulnerabile e perciò indistruttibile. Aveva la forza inaccessibile di quella diversità, l’inco­noscibile, che arrivava al di là degli alberi e oltre il mare. La meditazione era il richiamo di quell’uccello, che chiamava da quel vuoto, e il muggito del mare che si infrangeva fragorosamente contro la spiaggia. L’amore può esistere soltanto nel vuoto totale. La luce gri­gia dell’alba era là, lontana all’orizzonte, e gli alberi scuri erano più scuri e intensi. Nella meditazione non c’è ripetizione, una conti­nuità di abitudine; c’è la morte di ogni cosa nota e il fiorire dell’ignoto. Le stelle erano svanite e le nuvole si erano destate con l’arri­vo del sole.

Meditazione è uno stato mentale

in cui si guarda tutto con attenzione completa, in mo­do totale, senza limitarsi a una sola parte.

Meditazione è distruggere la sicurezza,

e c’è una grande bellezza nella meditazione, non la bellezza delle cose costruite dall’uomo o dalla natura, ma la bellezza del silenzio. Questo silenzio è il vuoto nel quale e dal quale tutte le cose fluiscono e hanno il loro essere. È inconoscibile, né l’intelletto né la sensibilità possono aprirsi una strada per raggiungerlo; non c’è strada che vi ci porti e un metodo che si ponga questo scopo è l’inven­zione di un cervello avido. Tutte le strade e i mezzi dell’io calcolatore devono essere totalmente distrutti; ogni andare avanti o indie­tro, come fa il tempo, deve giungere a una fi­ne, senza domani. Meditazione è distruzione; è un rischio per chi vuole condurre una vita superficiale e una vita fondata sulla fantasia e sul mito.

È qualcosa di straordinariamente meravi­glioso

se riuscirete a raggiungerlo. Io posso approfondirlo, ma la descrizione non è la cosa descritta. Dipende da voi imparare tutto ciò osservando voi stessi, senza servirvi di li­bri, di maestri che ve lo insegnino. Non affidatevi a nessuno, non legatevi alle organizza­zioni spirituali; bisogna imparare tutto ciò da soli. Allora la mente scoprirà cose incredibi­li. Ma perché succeda non deve esserci fram­mentazione, bensì straordinario equilibrio, acutezza, mobilità. Per una simile mente non esiste tempo e di conseguenza la vita assume un significato del tutto diverso.




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EL ENCUENTRO EN LA VICTORIA



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UN ENCUENTRO EN LA VICTORIA

Autor: ©Giuseppe Isgró C.

Del libro: La Victoria

Capítulo I

Me encontraba un día, en una fuente de aguas tranquilas, cristalinas, cuando se me acercó un Venerable hombre, vestido a la antigua usanza, con bata blanca, larga, pelo y barba que alguna vez fueron de color pelirrojo y un báculo en la mano derecha.

Concentró sus ojos en los míos; su mirada era profunda, serena y apacible.

Con voz suave y afectiva, me dijo:

-“Hola, hijo, como estás”-.

–Bien, -le contesté-; y, ¿usted?

–Por aquí andamos; -fue su respuesta-, mientras me sonreía.

-¿Dónde estamos?, -le pregunté al Venerable hombre-.

-Este sitio es conocido como La Victoria; -me contestó-. –¿Qué haces por estos lados?

-Salí esta mañana, temprano, con el coche, a dar un paseo; luego, al llegar a esta zona, me paré a contemplar la belleza de los araguaneyes y decidí caminar un poco y la verdad que, absorto en mis reflexiones, caminé por lo menos durante dos horas, hasta llegar aquí. Desconocía este hermoso lugar. Y, usted, -¿vive por aquí cerca? -le pregunté-.

Un poco más arriba, en esa colina boscosa. Hace algunos años, -relata el Venerable hombre- decidí retirarme de la agitada vida ejecutiva en que me desenvolvía profesionalmente, como abogado, en la ciudad de Quebec, Canadá, aunque he viajado por diversos países asesorando a incontables líderes. Construí la casa, en esta zona tropical, con la idea de pasar aquí los meses de invierno. Me dedico al estudio de la vida, a la meditación y a cultivar mi jardín y de vez en cuando, a escribir mis reflexiones, las cuales, algún día, habrán de ser publicadas para esparcir un poco la luz que he podido vislumbrar en mis estudios metafísicos-espirituales.

-¿Quieres tomar un café? –Me preguntó el Venerable hombre-. Lo he traído de Caripe El Guácharo; es de los más exquisitos que he probado.

-Sí, con gusto se lo acepto; -le contesté-.

Nos fuimos caminando por un sendero rodeado de árboles cargados de mangos, aguacates, naranjas y una hilera de cayenas de diversos colores. A lo lejos, el ruido de la brisa se oía apaciblemente. Todo era quietud, armonía y paz. Pero, sobre todo, lo que más me impresionaba era la apacibilidad y el sosiego del Venerable hombre de La Victoria. Emanaba de él un flujo de fuerza que, en su presencia, me sentía con un poder y una seguridad nunca antes experimentados. Fuerzas bienhechoras se iban apoderando de mí y aquella paz y relax que buscaba en la mañana, al salir a dar un paseo, sin percatarme de ello, las estaba experimentando ya.

Después de unos quince minutos de caminar, llegamos a la casa del Venerable hombre. Su aspecto exterior humilde estaba lejos de dejar entrever lo que segundos después habría de asombrarme con lo que encontré en el interior.

Al entrar, en la casa, una joven de unos veinte años saludó al Venerable hombre.

-¡Hola, abuelo!, ¿cómo estás?

–Bien, hija, -contestó el Venerable hombre-. -Prepara un poco de café, Lucía, mientras conversamos un poco, adentro.

-Por cierto, te presento a Santiago, quien ha llegado paseando hasta La Victoria.

Después de la presentación, entramos en la biblioteca del Venerable hombre. Un salón grande, lleno de estantes de libros por todas partes, lo cual hacía inimaginable dicho cuadro desde el exterior. Algunos cuadros al óleo de morichales y de personajes históricos, presentaban un ambiente acogedor. En un rincón se encontraban diversos retratos de Tagore, Gandhi, Cicerón, Séneca, Ibn Arabi y un dibujo de Don Quijote y Sancho Panza. En un pequeño cuadro, podía leerse: -“Lo que Alá quiera. Nada se le asemeja”-.

-Le felicito por este inmenso tesoro que usted tiene aquí, -le dije al Venerable hombre-. -¿Cuáles son los temas de su interés?

A lo cual, me contestó: -Como usted puede ver, Santiago, -y me invitó a recorrer los estantes- aquí hay libros de variados temas: clásicos de todos los países y épocas, desde los Vedas, los Upanishads, el Mahabaratha, los libros de Confucio, El Tao te King, de Lao Tse, el Poema de Gilgamesh, el Código de Amurabí, autores griegos, como Homero y Hesiodo. Se encuentran las obras completas de Euclides, Platón, Aristóteles, Teofrasto, Demetrio de Falereo, de los Presocráticos, Epicteto, Plutarco, etcétera; de los latinos, autores como Séneca, Cicerón, -que son mis preferidos-, Julio César, Tito Livio, Dionisio de Halicarnaso, Marco Aurelio, así como libros de Psicología, Gerencia, Sufismo, Yoga, ensayos, filosofía, parapsicología, hermetismo, El Quijote, libros de economía, filosofía, etcétera, en fin, un poco de todo lo que es preciso conocer para poder entender el significado de la vida: de dónde venimos, por qué estamos aquí y hacía dónde vamos, sin lo cual, la vida no tendría sentido, sobre todo por el gran afán a que está sometido el ser humano en la agitada vida moderna.

Nos sentamos en sendas butacas y nos entretuvimos conversando de temas diversos. Al poco rato, entró Lucía con dos tazas de oloroso café y unos biscochos, que degustamos con agrado en una amena e interesante conversación. Al fondo, podía oírse una suave música de Beethoven.

Pasamos cerca de una hora conversando de sobre la Atlántida, Egipto, los griegos, de Homero, de los sufíes, del budismo zen, los poderes del espíritu, meditación, etcétera, después de lo cual, le hice una pregunta directa.

-Seguramente, usted ha desarrollado alguna técnica de meditación y algún método de resolución de situaciones, en la vida, que me quisiera explicar, ya que, según observo, para tener usted una serenidad tan acentuada y una fortaleza física a la edad que imagino que usted debe tener, -cerca de noventa años- es porque ha encontrado en su larga experiencia algún secreto que quizás quisiera compartir conmigo.

Santiago, -me dijo el Venerable hombre, si vuelves a visitarme otro día, quizá te cuente algo que te pueda servir. Empero, antes de que te vayas, te haré entrega de unos apuntes que hace ya muchos años, en una época en que yo andaba a la búsqueda de sosiego y tratando de encontrarle sentido a la vida, un Venerable hombre que, en una edad similar a la mía, a su vez me entregara y cuya práctica asidua me permitió domar la mente, encarrilar mi vida y poner bajo control los hilos del destino. Son veintidós manuscritos, y una meditación diaria, –continuó diciendo el Venerable hombre, que si bien son ya un poco antiguos, podrás copiarlos de nuevo y si pones en práctica las técnicas que contienen, darás a tu vida un esplendor que habrá de sorprenderte agradablemente.

-Una vez que los hayas probado con total y absoluta satisfacción de tu parte, -me dijo, ponlos en limpio, en forma de libro y publícalo para que su mensaje llegue a mayor número de personas. Hacía tiempo que esperaba a alguien a quien confiarle este legado y creo que hoy, al llegar aquí, en la forma en que lo has hecho, tus pasos han sido dirigidos por Aquel que todo lo sabe y puede, por la Ley Cósmica, y en cuyos planes universales, todos somos sus instrumentos.

Me despedí del Venerable hombre y de su adorable nieta, sintiendo dentro de mí fuerzas desconocidas hasta entonces que preanunciaban grandes cambios en mi vida.

En los días siguientes, aparté una hora diaria, antes de dormirme, y leí y releí, todos los manuscritos, de la siguiente manera: En primer lugar copié la Meditación diaria en un cuaderno, el cual leí durante veintidós noches y mañanas seguidas, tal como lo indicaban las instrucciones de la misma.

Una nota al pie de página mencionaba que si yo la transcribía en un cuaderno, el hecho de hacerlo, grabaría en mi ordenador mental las instrucciones y me sería más fácil desarrollar, en mi personalidad, las cualidades y condiciones que formaban parte de los objetivos implícitos en la misma.

De los veintidós manuscritos, cada lunes, a las once en punto de la noche, copiaba uno en el cuaderno, y durante el resto de la semana, a la misma hora, lo leía y meditaba, siguiendo las fáciles y efectivas técnicas e indicaciones al inicio del mismo.

Cuatro semanas después de leer durante veintidós días seguidos, en la noche y en la mañana, la meditación diaria, comenzaron a manifestarse en mi vida una serie de cambios positivos que me dejaban asombrado a mi mismo, pero, también, los miembros de mi familia y a mis amistades; sobre todo mi semblante comenzó a ser más apacible; volví a sonreír desde el interior; mi estado anímico era de contento; me sentía más seguro de mi mismo; comencé a confiar más en la gente, en la vida y a vislumbrar el sentido de mi misión en la vida –percibía cosas que antes me pasaban desapercibidas, a pesar de haber estado siempre allí. Sentía fluir en mí una nueva corriente vivificadora de prosperidad, de felicidad, de alegría de vivir. Mi entusiasmo y amor por la vida y por mi familia, por mi trabajo y por las personas, crecía día a día. En aproximadamente dos meses había logrado muchas de las cosas en las cuales había soñado desde hacía años. Había dado un paso sorprendente en el camino de la autorrealización.

Efectivamente, pude comprobar que me fue relativamente muy fácil desarrollar las aptitudes y actitudes a nivel físico, mental, emocional, espiritual y en diversos aspectos de mi vida, como el financiero, que comenzó a mejorar casi inmediatamente, así como, surgieron nuevas oportunidades que comencé a aprovechar, casi sin esfuerzo de mi parte.

Transcurría el año de 1967 y mi vida había encontrado un sendero que habría de conducirme a cooperar en forma más efectiva en el plan divino que el Supremo Hacedor, en algún momento, había diseñado para mí.

Tres meses después volví a aquel lugar donde había encontrado al Venerable hombre de La Victoria y allí estaba la fuente que él dijo llamarse La Victoria; empero, cuando traté de encontrar el camino para llegar a la casa donde amablemente me ofreció un delicioso café, preparado por su nieta Lucía, no logré encontrarlo, pese a haber recorrido durante un par de horas por los alrededores. Pregunté a varias personas para ver si podían indicarme como llegar a la casa del Venerable hombre y cual fue mi sorpresa, nadie lo conocía.

Empero, después de tanto buscar, volví a encontrar la casa donde vivía el Venerable hombre de La Victoria, pero se encontraba abandonada. Su aspecto indicaba que debía encontrarse en ese estado un lapso mayor del que mediaba con el encuentro de aquel ser extraordinario. Es sorprendente como los inmuebles solos acusan el paso del tiempo en mayor grado que los que son habitados. Si no fuera por los manuscritos pensaría que el encuentro no fue más que un simple sueño. -¿O se trata, acaso de un sueño combinado con un fenómeno de aporte? Personalmente, no lo creo. El encuentro fue muy vívido y real. El aromático café servido por Lucía estaba exquisito. Durante varios años volví al lugar varias veces, la casa seguía sola. La última vez que volví, no la pude ubicar y sin tener tiempo suficiente para seguir buscándola, me fui. Ahora, vivo muy lejos de aquella zona, en otro continente; han transcurrido muchos años y después de tanto tiempo es poco probable que vuelva allí; pero, los manuscritos y la meditación diaria obran en mi poder, me han transformado y han enriquecido mi vida.

Durante más de treinta y cinco años he puesto en práctica las diversas variantes de los ejercicios, afirmaciones y meditaciones que contienen los manuscritos y la meditación diaria y cada vez que los pongo en práctica, experimentos los mismos beneficios. Ahora, ellos se encuentran en el libro que usted tiene en sus manos; espero que les sean tan útiles como los han sido para mí.

Su contenido es eminentemente práctico; no hay teorías superfluas. Si lleva a cabo los ejercicios que contienen, es probable que, gradualmente, se vaya efectuando la transmutación alquímica de su ser sintonizándose con los elevados resultados existenciales, los cuales, por añadidura, al ser creados a nivel mental, se van manifestando en su propia vida, oportunamente.

Sobre todo, con estos ejercicios, me percaté, cuando el Venerable hombre me entregó los manuscritos, de que se dispone de un método para domar la mente y ejercer un pleno dominio sobre la vida en general y, por ende, sobre el destino y controlar, cuando eventualmente se presenten, todas las situaciones, manteniendo un perfecto equilibrio físico, mental, emocional, espiritual y financiero.

El Venerable hombre de La Victoria me comentaba que todo se puede lograr en la vida si se siembra la respectiva semilla por medio de correctas decisiones acordes con la propia y elevada auto-estima y dignidad personal, desarrollando el convencimiento de que sí se puede hacer, por medio de las afirmaciones, las visualizaciones y meditaciones, la experimentación de un estado emocional acorde al momento de ser logrados los respectivos resultados y la practica del desapego, es decir, dejar encargada a la mente psiconsciente del logro, y además, se espera el tiempo necesario haciendo, mientras tanto, todo lo que se requiere, según el caso o los objetivos por alcanzar.

Estas técnicas funcionan, me decía una y otra vez el Venerable hombre de La Victoria; luego, agregaba: -las he probado por más de cincuenta años y quien, a su vez me las entregó, habría hecho otro tanto, aseverando que eran efectivas, si yo seguía fielmente las instrucciones y las ponía en práctica con expectativas positivas.

Desde que en 1967, el Venerable hombre me hiciera entrega de los manuscritos, han transcurrido un poco más de de treinta y cinco años, durante los cuales yo también he puesto en práctica las diversas variantes de los ejercicios, afirmaciones y meditaciones que contienen, y cada vez que me ejercito con ellos, experimento los mismos beneficios. Ahora, ellos se encuentran en el libro que usted tiene en sus manos; espero que les sean tan útiles como los han sido para todos los que hemos aplicado las enseñanzas del Venerable hombre de La Victoria.

Él me repetía constantemente: -“¡Tú puedes si crees que puedes hacerlo! ¡Hazlo y tendrás el poder!

Recuerdo que ese día el Venerable hombre me dijo: -ejercer el poder con que la naturaleza de las cosas ha dotado a cada ser, cultivando los dones inherentes y aprendiendo todo lo que se pueda de sí y del vasto universo del que se forma parte, es una manera efectiva de ser cada día más feliz. Luego, cuando me despedí de él, expresó: -“¡Que cada día brille más y mejor tu luz interior!”.- Adelante.

Capítulo 2

Meditación diaria

Es lunes en la noche, son las once en punto.

Me dispongo a copiar textualmente, en el cuaderno que he dispuesto para ello, el manuscrito identificado con el título:

Meditación diaria

Dice así:

Afirme, en la mañana y en la noche, antes de dormir, durante veintidós días; luego, cada vez que lo desee, esta poderosa fórmula de programación mental positiva y descubra cómo, con facilidad, van ocurriendo cosas maravillosas en su vida:

MEDITACIÓN DIARIA

Afirma, en la mañana y en la noche, antes de dormir, durante veintidós días; luego, cada vez que lo desees, esta poderosa fórmula de programación mental positiva y descubre cómo, con facilidad, van ocurriendo cosas maravillosas en tu vida. Al encender la luz en la mente se ilumina la propia existencia y todo en derredor vibra al unísono y con el mismo sentimiento de felicidad y bienestar, interrelacionándose por la ley de afinidad.

1. -Entro en el nivel de mi mente psiconsciente, en el centro de control de mi piloto mental automático, donde todo va bien, siempre, contando de tres a uno: Tres, dos, uno.

Ø Ahora, estoy ya en el nivel de mi mente psiconsciente, en el centro de control de mi piloto mental automático, donde todo va bien, siempre.

Ø Voy a permanecer en el nivel de mi mente psiconsciente, en el centro de control de mi piloto mental automático, donde todo va bien, siempre, durante quince minutos y voy a programar los siguientes efectos positivos, los cuales perduran, cada vez mejor, hasta que vuelva a realizar este acceso y programación mental:

Ø Todo va bien, siempre, en todos los aspectos de mi vida, cada día mejor. (Tres veces). –Imagínalo-.

Ø Todo va bien en mi trabajo; cada día logro mejores niveles de efectividad, prosperidad, riqueza, abundancia y bienestar. (Imagínalo).

2. Formo una unidad cósmica perfecta con el Creador Universal, -ELOÍ. (Diez veces, con los ojos cerrados). Hoy se expresa en mí la Perfección universal de la Vida, del amor, de la luz, de la sabiduría, del perdón, de la percepción de la verdad, de la aceptación de la realidad, de la justicia, de la igualdad, de la compensación, de la fortaleza, de la templanza, de la belleza, del equilibrio, de la armonía, de la salud, de la prosperidad, de la riqueza, de la abundancia, del servicio y de la provisión en todos los aspectos de mi vida.

3. -Cada día, en todas formas y condiciones, mi cuerpo y mi mente funcionan mejor y mejor. La consciencia de mi conexión permanente e indisoluble con el Creador Universal, -ELOÍ-, restablece y mantiene en mí, diariamente, durante las veinticuatro horas del día, un perfecto estado de salud a nivel físico, mental, emocional y espiritual. Gracias, Creador Universal, por darme un cuerpo perfecto, saludable, lleno de energía. Aquí y ahora, me siento en perfecto equilibrio de salud, a nivel físico, mental, emocional y espiritual.

4. Afronto y resuelvo bien toda situación que me compete, siempre.

5. Todo tiene solución, en todas las situaciones de mi vida.

6. El Creador Universal, -ELOÍ-, es en mí, cada día mejor, en todos los aspectos de mi vida, fuente de amor, luz, sabiduría, éxito, riqueza, prosperidad, abundancia y armonía.

7. Permito que las leyes universales de la Vida, del amor, de la luz, de la sabiduría, del perdón, de la percepción de la verdad, de la aceptación de la realidad, de la justicia, de la igualdad, de la compensación, de la fortaleza, de la templanza, de la belleza, del equilibrio, de la armonía, de la salud, de la prosperidad, de la riqueza, de la abundancia, del servicio y de la provisión actúen bien en el plan de mi vida.

8. Tengo prosperidad y poder. Cada día enriquezco mejor mi vida a través del servicio efectivo, del amor y de la práctica de todas las virtudes.

9. Mi dignidad personal me lleva a realizar las cosas que me competen con la máxima perfección posible.

10. Cada día, en todas formas y condiciones, en todos los aspectos de mi vida, estoy mejor y mejor a nivel físico, mental, emocional, espiritual y financiero.

11. Actúo con templanza, serenidad, autodominio y perfecto equilibrio en todo. Conservo plena autonomía y control sobre todas mis facultades físicas, mentales, emocionales, intelectuales y espirituales. Hecho está. (Visualizar un escudo protector de luz que te envuelve y protege; -una pirámide-).

12. Tengo fortaleza, valor, confianza y fe suficiente para triunfar y alcanzar todas mis metas, de acuerdo con la voluntad del Creador Universal, -ELOÍ-, y en armonía con sus planes cósmicos. Soy inmune e invulnerable a las influencias y sugestiones del medio ambiente y de cualquier persona a nivel físico, mental, emocional y espiritual, en las dimensiones objetivas y subjetivas y en cualesquiera otras en que sea requerido.

13. El orden universal de la Vida, del amor, de la luz, de la sabiduría, del perdón, de la percepción de la verdad, de la aceptación de la realidad, de la justicia, de la igualdad, de la compensación, de la fortaleza, de la templanza, de la belleza, del equilibrio, de la armonía, de la salud, de la prosperidad, de la riqueza, de la abundancia, del servicio y de la provisión se establece en mi vida, en todos mis asuntos y en las personas interrelacionadas, aquí y ahora. Hecho está.

14. Asumo la responsabilidad de mis actos y cumplo bien todos mis compromisos, siempre oportunamente, de acuerdo con el orden cósmico.

15. El Creador Universal, -ELOÍ-, nos da abundancia y armonía en el eterno presente. Vivo en abundancia y en armonía perfectas, aquí, ahora y siempre.

16. El Creador Universal, -ELOÍ-, se está ocupando de todo, en todos los aspectos de mi vida, y se expresa en mí conciencia intuitiva por medio de los sentimientos en correspondencia con los valores universales.

17. Gracias, Creador Universal, -ELOÍ-, por esta vida maravillosa. Que Tu Inteligencia Infinita, Amor, Sabiduría, Justicia, Luz, y Poder Creador guíen, adecuadamente, todas mis decisiones y acciones, ahora y siempre. Gracias, Eloí, por este día maravilloso.

18. El Creador Universal, -ELOÍ-, nos proteja, aquí y en cualquier lugar, ahora y siempre. (Tres veces).

19. Siempre espero lo mejor, de acuerdo con la voluntad del Creador Universal, -ELOÍ-, y la Ley Cósmica, en armonía con todos.

20. Gracias, Creador Universal; todo va bien en todos los aspectos de mi vida, a nivel físico, mental, emocional y espiritual. Gracias, Eloí, todo va bien en mis practicas espirituales y en mi relación Contigo; Tú y yo formamos una unidad perfecta, armónica, aquí y ahora, en el eterno presente. Yo soy Tú, Tú eres yo. Te amo.

21. Voy a realizar –obtener o resolver- (mencionar), antes del: (fecha), de acuerdo al orden divino y en armonía con todos. (Si se trata de varios objetivos, anótelos y haga la afirmación y visualización con cada uno de ellos. Imagínelo concluido satisfactoriamente sin imponer canal alguno de manifestación.)

22. Tengo serenidad y calma imperturbable. Soy impasible frente a todo y a todos. No tengo temor a nada, a nadie ni de nadie en ningún nivel físico, mental, emocional, espiritual y financiero. Dentro de mí vibra la seguridad total. Tengo completa confianza en la vida y en mi propia capacidad de resolver situaciones y alcanzar los resultados satisfactorios que preciso, en cada caso, siempre.

A continuación anoté la fecha: Lunes 12 de agosto de 1967. Luego, tal como me lo indicó el Venerable hombre, anoté la fecha que correspondía veintidós días después: 03 de septiembre de 1967.

Acto seguido, me senté cómodamente, tomé tres respiraciones profundas y realicé la meditación.

Luego, cada noche, durante veintidós días, a las once en punto, me iba a mi cuarto, daba indicaciones de no ser interrumpido durante veinte minutos y realizaba la meditación del día, la cual, siempre complementaba con la lectura breve de uno de los libros de cabecera que siempre suelo tener en mi mesa de noche.

Iba notando, día a día como emergía de mi interior una nueva y desconocida fortaleza, seguridad, estado de ánimo contento, actitud más decidida, optimismo frente a la vida y a las situaciones; comencé a llevarme mejor en las relaciones con las demás personas, a ser más comedido en todo y sobre todo comenzaba a tener conciencia de cosas que antes me solían pasar desapercibidas.

Cabe destacar que, en el punto número veintiuno de la meditación, había anotado siete objetivos que desde hacía tiempo quería realizar y para mi sorpresa, treinta días después de haber terminado de efectuar la meditación del manuscrito número veintidós comencé a observar como, en forma aparentemente casual se iban manifestando la resultados de cada uno de ellos hasta que, algunos meses después, antes de la fechas previstas, los había realizado todos, menos dos, por lo cual, me senté y volví a anotar, en una hoja de mi cuaderno, otros diez objetivos, encabezados por los dos pendientes de la lista anterior, les puse la fecha tope a cada uno, antes de la cual debían ser logrados, para seguir visualizando, su logro, periódicamente.

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miércoles, 6 de marzo de 2013

MEDITAZIONE: Jiddu Krishnamurti


MEDITAZIONE

 Jiddu Krishnamurti



l’uomo ha inventato molte forme di meditazione, basate sul desiderio, sulla volontà e sull’avidità di conseguimenti, che implicano il conflitto e una lotta per raggiungere il successo. (in tale sforzo conscio e deliberato risente sempre dei limiti della mente condizionata, e non c’è libertà in ciò. Ogni sforzo di meditare è la negazione stessa della meditazione.
La meditazione è la fine del pensiero. Solo allora si ha una dimensione diversa al di là del tempo.
marzo 1979


     Para emanciparse de los propios conflictos, el ser humano ha experimentado con muchas variantes de meditación, basadas sobre el deseo, la voluntad y la avidez de los logros, que implican el conflicto y una acción para alcanzar el éxito. En ese esfuerzo consciente y deliberado se resiente, siempre, de los límites de la mente condicionada, y en esto no hay libertad. Cada esfuerzo para meditar es la negación misma de la meditación.

La meditación es el cese del pensamiento. Solamente entonces se tiene una dimensión diferente más allá del tiempo. 

Una mente meditativa

 è silenziosa. Non quel silenzio che può essere concepito dal pensiero; non il silenzio di una placida sera; ma quel silenzio che sorge quando il pensie­ro, con tutte le sue immagini, tutte le sue parole e tutte le sue percezioni, è interamente cessato. Questa mente meditativa è la mente religiosa: la religione in cui non vi sono chie­se, templi, canti.
La mente religiosa è l’esplosione dell’a­more: l’amore che non conosce separazione. Per questo amore il lontano è vicino. Non è l’uno né i molti, bensì quello stato di amore in cui cessano tutte le divisioni. Come la bel­lezza, non è a misura delle parole. Solo a partire da questo silenzio agisce la mente medi­tativa.

La meditazione è una delle più grandi ar­ti della vita,

forse la più grande, e non la si può assolutamente imparare da nessuno, questa è la sua bellezza. Non c’è tecnica e quindi non c’è autorità. Quando imparate qualcosa su di voi, osservatevi, osservate il modo in cui camminate, il modo in cui man­giate, ciò che dite, le chiacchiere, l’odio, la gelosia: se siete consapevoli di tutte queste cose dentro di voi, senza alternativa, ciò fa parte della meditazione.
Può esserci meditazione, dunque, quando sedete in un autobus o passeggiate in un bo­sco pieno di luce e di ombre, o ascoltate il canto degli uccelli o guardate il viso di vostra moglie o del vostro bambino.

È strano come la meditazione divenga to­talizzante;

non ha fine né principio. È come una goccia di pioggia: in quella goccia ci sono tutti i corsi d’acqua, i grandi fiumi, i mari e le cascate; la goccia nutre la terra e l’uomo: senza quella goccia la terra sarebbe un deser­to. Senza la meditazione il cuore diventa un deserto, una landa desolata.

Meditazione è scoprire

se il cervello, con tutte le sue attività, le sue esperienze, può essere assolutamente acquietato. Non costret­to, perché quando c’è costrizione, c’è dualità. L’entità che dice: «Vorrei avere esperienze meravigliose, perciò devo costringere il mio cervello a essere quieto», non ci riuscirà mai. Ma se cominciate a indagare, a osservare, ad ascoltare tutti i movimenti del pensiero, i suoi condizionamenti, i suoi slanci, le sue paure, i suoi piaceri, a guardare come fun­ziona, allora vedrete che il cervello diventerà estremamente quieto; una quiete che non è sonno ma è straordinariamente attiva e quin­di è quiete. Una grossa dinamo che funzioni perfettamente, quasi non fa rumore; soltanto quando c’è attrito c’è rumore.

Il silenzio e la vastità si accompagnano.

L’immensità del silenzio è l’immensità della mente in cui non esiste un centro.

La meditazione è ardua.

Esige la più al­ta forma di disciplina: non vuole conformi­smo, non vuole imitazione, non vuole obbe­dienza, ma vuole una disciplina che passi attraverso la costante consapevolezza delle cose fuori di te e delle cose dentro di te. La me­ditazione, quindi, non è attività nell’isolamento, bensì azione nella vita quotidiana che esige cooperazione, sensibilità e intelligenza. Senza il fondamento di una vita retta la me­ditazione diventa una fuga e non ha più valore. Una vita retta non è obbedienza alla morale sociale, bensì libertà dall’invidia, dalla cupidigia e dalla ricerca del potere, che ge­nerano l’inimicizia. La libertà da questi mali non passa attraverso l’attività della volontà, ma attraverso la consapevolezza che ne acquistiamo con l’autoconoscenza. Senza cono­scere le attività del sé la meditazione diventa esaltazione dei sensi e perde ogni significato.

La continua ricerca di esperienze più va­ste,

più profonde e trascendenti è una forma di fuga dalla realtà effettiva di “ciò che è”, vale a dire da noi stessi, dalla nostra mente con­dizionata. Perché una mente sveglia, intelli­gente, libera, dovrebbe aver bisogno di espe­rienze, perché dovrebbe avere “esperienze”? La luce è luce; non richiede altra luce.

La meditazione è una cosa tra le più straordinarie.

Non conoscerla vuol dire essere come un cieco in un mondo di colori splendenti, di ombre e luci cangianti. Non è questione di intelletto, ma, quando il cuore entra nella mente, la mente assume una qua­lità completamente diversa; diviene realmen­te illimitata, non solo quanto alla sua capa­cità di pensare, di agire in modo efficace, ma anche per la sensazione di vivere in un vasto spazio nel quale siamo parte di tutto.
La meditazione è il movimento dell’amore. Non l’amore del singolo o di molti. È come l’acqua che tutti possono bere da qualsia­si recipiente, che sia un vaso d’oro o una brocca d’argilla: è inesauribile. E accade una cosa particolare, che né le droghe né l’autoi­pnosi possono dare: è come se la mente entrasse in se stessa, dapprima alla superficie, per poi penetrare sempre più profondamen­te, finché profondità e altezza non hanno più senso e ogni sistema di misura scompare. In questo stato vi è una pace totale, non la sod­disfazione che deriva dalla gratificazione, mauna pace che ha in sé ordine, bellezza e in­tensità. Può essere distrutta, così come si può distruggere un fiore, eppure, proprio a causa della sua vulnerabilità, è indistruttibile. Que­sta meditazione non la si può apprendere da un altro. Dovete cominciare senza saperne nulla e muovervi nell’innocenza.
Il terreno in cui può nascere la mente me­ditativa è quello della vita quotidiana, la lot­ta, il dolore e la gioia fugace. È lì che deve nascere, e recare ordine, e da lì muoversi all’infinito. Ma se vi interessa solo l’ordine, al­lora l’ordine stesso porterà con sé il proprio limite, e la mente ne sarà prigioniera. In que­sto movimento dovete in qualche modo co­minciare dall’altro estremo, dalla sponda opposta, e non curarvi soltanto di questa spon­da e di come attraverserete il fiume. Dovete gettarvi nel fiume senza saper nuotare. E il bello della meditazione è che non sapete mai dove siete, dove andate e qual è la meta.

La meditazione non è qualcosa di diverso dalla vita quotidiana;

non rintanatevi in un angolo della stanza a meditare dieci minuti per poi andare a fare i macellai, e non solo in senso metaforico.
La meditazione è una delle cose più serie. Potete meditare tutto il giorno, in ufficio, con la famiglia, quando dite a qualcuno: «Ti amo», mentre osservate i vostri figli. Ma poi gli insegnate a divenire soldati, a uccidere, a identificarsi con la nazione, a venerare la bandiera, li educate a entrare in questa trap­pola del mondo moderno.
Osservare queste cose, rendersi conto del vostro ruolo in esse, fa parte della meditazio­ne. E quando meditate così vi scoprirete una bellezza straordinaria; agirete rettamente in ogni momento; e se per una volta sbagliate non importa, lo farete di nuovo senza perder tempo con i rimpianti. La meditazione è parte della vita, non è qualcosa di diverso.

Se hai intenzione di meditare,

non sarà me­ditazione. Se hai intenzione di essere buono, la bontà non fiorirà mai. Se coltivi l’umiltà, essa cessa di essere. La meditazione è come la brezza che entra quando lasci la finestra aperta; ma se di proposito la tieni aperta, di proposito la inviti a venire, non apparirà mai.

La meditazione non è un mezzo per un fine.

È insieme e il mezzo e il fine.

Che cosa straordinaria è la meditazione!

Se è una qualsiasi costrizione, un qualsiasi sforzo per far sì che il pensiero si adatti, per spingerlo a imitare, allora la meditazione diviene un pesante fardello. Il silenzio che si desidera cessa di essere illuminante; se è inteso a procurare visioni ed esperienze, allora porta all’illusione e all’autoipnosi. Solo nel fiorire del pensiero e nella sua conseguente cessazione la meditazione ha senso; il pensie­ro può fiorire solo nella libertà, non nell’al­largarsi dei modelli di conoscenza. La cono­scenza può dare esperienze sempre nuove, sempre più sensazionali, ma una mente sem­pre alla ricerca di esperienze di qualsiasi ge­nere è immatura. La maturità è la libertà da ogni esperienza; non è più sottoposta a nes­suna influenza sia a essere sia a non essere.
La maturità nella meditazione è la libera­zione della mente dalla conoscenza, poiché questa forma e controlla tutta l’esperienza. Una mente che è luce per se stessa non ha bi­sogno di esperienza. Immaturità è bramare una maggiore e più vasta esperienza. Meditazione significa spaziare attraverso il mondo della conoscenza ed esserne liberi per entrare nell’ignoto.

Dovete scoprirlo da soli,

senza l’aiuto di  nessuno. Abbiamo avuto l’autorità degli insegnanti, dei redentori e dei maestri. Se volete davvero scoprire cosa sia la meditazione, do­vete mettere assolutamente, totalmente da parte ogni autorità.

Felicità e piacere

possono essere acquistati in qualsiasi mercato per una data somma. Ma la beatitudine non ha prezzo: non potete comperarla né per voi stessi né per un altro. La felicità e il piacere sono vincolati al tem­po. La beatitudine esiste solo nella libertà totale. Il piacere e la felicità possono essere cercati, e trovati, in molti modi. Ma vanno e vengono. La beatitudine, quella misteriosa sensazione di gioia, non ha motivo. Non po­tete cercarla. Quando c’è, a seconda della qualità della mente, rimane lì: eterna, incausata, non misurabile in termini di tempo. Meditazione non è inseguire il piacere o ri­cercare la felicità. Meditazione, al contrario, è uno stato mentale in cui non vi sono con­cetti né formule, e quindi c’è libertà totale. La beatitudine viene, non cercata e non invi­tata, solo in una simile mente. Una volta li, per quanto possiate vivere nel mondo con tutto il suo rumore, i suoi piaceri e la sua brutalità, questi non potranno toccare la mente. Una volta lì, il conflitto è cessato. Ma la fine del conflitto non equivale necessariamente alla libertà totale. Meditazione è la mente che si muove in questa libertà. In tale esplosione di beatitudine gli occhi diventano innocenti, e l’amore diviene benedizione.

Non so se avete mai notato

che quando prestate un’attenzione totale c’è un completo silenzio. E in quell’attenzione non ci sono confini, non c’è un centro, un “io” consapevole o attento. Quell’attenzione, quel silen­zio, sono uno stato di meditazione.

Quasi mai facciamo caso

al latrato di un cane o al pianto di un bambino o alla risata dell’uomo che ci passa accanto. Ci separiamo da tutto e da questo isolamento guardiamo e ascoltiamo le cose. Questa separazione è di­struttiva, perché contiene ogni conflitto e ogni confusione. Se tu ascoltassi il suono di quelle campane con assoluto silenzio, quel suono ti porterebbe al di là della valle e oltre la collina. La sua bellezza si sente solo quan­do tu e il suono non siete separati, quando tu ne sei parte. La meditazione è la fine della se­parazione, una fine che non si ottiene con un’azione della volontà o del desiderio.
La meditazione non è qualcosa di separato dalla vita; è l’essenza stessa della vita, l’es­senza stessa del vivere quotidiano. Ascoltare quelle campane, udire la risata di quel conta­dino che passeggia con la moglie, ascoltare il trillo del campanello sulla bicicletta di quella ragazzina: ecco la totalità della vita, e non soltanto un frammento, che la meditazione schiude.

Meditazione è vedere ciò che è

e trascebderlo.

La percezione priva della parola,

cioè pri­va del pensiero, è uno dei fenomeni più mi­steriosi. Una tale percezione è molto più acu­ta, e interessa non solo il cervello, ma tutti gli altri sensi. Non è la percezione frammentaria dell’intelletto né riguarda le emozioni; pos­siamo definirla una percezione totale, ed è parte della meditazione. La percezione senza un soggetto che percepisce in ,meditazione vuol dire comunicare con l’altezza e la profondità dell’immenso. È una percezione totalmente diversa dal vedere un oggetto sen­za un osservatore, perché nella percezione della meditazione non c’è un oggetto e quin­di non c’è esperienza. Eppure la meditazione può aver luogo quando abbiamo gli occhi aperti e siamo circondati da oggetti di ogni tipo. Ma questi oggetti non hanno la minima importanza. Li vediamo, ma non c’è nessun processo di riconoscimento, e ciò significa che non c’è nessuna esperienza.
Cosa significa tale meditazione? Non si­gnifica nulla, non serve a nulla. Ma in quella meditazione c’è un movimento di grande estasi, un’estasi che non va confusa con il piacere. È l’estasi che conferisce innocenza all’occhio, al cervello e al cuore. Se non vediamo la vita come qualcosa di totalmente nuovo, è una routine, una noia, una cosa insignificante. Per questo la meditazione è della massima importanza. Apre la porta all’ine­stimabile, all’immenso.

La meditazione non è mai nel tempo;

il tempo non può portare mutamento; può portare un cambiamento che deve essere cambiato di nuovo, come tutte le riforme; la meditazione che nasce dal tempo è sempre condizionante, in essa non c’è libertà e senza libertà c’è sempre scelta e conflitto.

Dobbiamo cambiare la struttura della no­stra società,

la sua ingiustizia, la sua orribile morale, le divisioni che ha creato fra uomo e uomo, le guerre, l’assoluta mancanza di affet­to e amore che sta distruggendo il mondo. Se la vostra meditazione è solo una faccenda personale, una cosa di cui godete personalmente, allora non è meditazione. La medita­zione implica un cambiamento completo, ra­dicale, della mente e del cuore, che è possi­bile solo quando c’è questo straordinario senso di silenzio interiore, e quello solo dà vita alla mente religiosa. Quella mente cono­sce ciò che è sacro.

Bellezza significa sensibilità,

un corpo sen­sibile, e ciò vuol dire una dieta equilibrata, un retto modo di vivere. Allora la mente, ine­vitabilmente e spontaneamente, senza accorgersene, diventerà quieta. Non potete acquietarla voi, perché siete voi che create di­scordia, che siete turbati, in ansia, confusi: come potreste acquietare la mente? Ma quando comprendete cos’è la quiete, quando comprendete cos’è la confusione, cos’è il dolore e se potrà mai aver fine, e quando com­prendete il piacere, allora la mente sarà straordinariamente quieta; non avrete biso­gno di cercarla. Dovete cominciare dal prin­cipio e il primo passo è anche l’ultimo; que­sta è meditazione.

Meditare è non essere condizionati dal tempo.


Meditazione non è fuggire dal mondo;

non è un isolarsi e chiudersi in sé, è piuttosto comprendere il mondo e le sue vie. Il mondo ha poco da offrire tranne il cibo, i vestiti e la casa, e il piacere con i suoi grandi dolori.
Meditazione è deviare da questo mondo, diventargli totalmente estraneo. Allora il mondo ha un significato, e la bellezza del cie­lo e della terra è costante. Allora l’amore non è piacere. Da ciò prende le mosse l’azione che non è il risultato della tensione, della contraddizione, della ricerca e dell’autosod­disfazione o della vanità del potere.

Se assumi deliberatamente un atteggiamento,

una posizione per meditare, allora la meditazione diventa un giocattolo, un tra­stullo della mente. Se decidi di districarti dalla confusione e dall’infelicità della vita, allora diventa un’esperienza dell’immaginazione, e questa non è meditazione. La mente conscia o la mente inconscia non devono avervi parte; non devono neppure essere consapevoli dell’estensione e della bellezza della medita­zione, se no, tanto varrebbe leggersi un ro­manzo.
Nella totale attenzione della meditazione non c’è conoscenza, non c’è riconoscimento, non c’è il ricordo di qualcosa che sia già av­venuto. Tempo e pensiero sono totalmente cessati, poiché sono il centro che limita la vi­sione.
Nel momento della luce il pensiero dile­gua e lo sforzo conscio di sperimentarla e ri­cordarla è la parola che e stata. E la parola non è mai il reale. In quel momento – che non appartiene al tempo – il definitivo è l’immediato, ma quel definitivo non ha simboli, non appartiene a nessuna persona, a nessun dio.

Meditazione è scoprire

se c’è un campo     che non è stato già contaminato dal conosciuto.

Meditazione è il fiorire della comprensione.

La comprensione non avviene entro i confini del tempo, il tempo non porta mai comprensione. La comprensione non è mai un processo graduale, da portare avanti un poco per volta con cura e pazienza. La com­prensione è ora o mai; è una fiamma distrut­tiva, non è qualcosa di indifferente; è di que­sta distruzione che si ha paura e così la si evi­ta, coscientemente o no. La comprensione può modificare il corso della vita di un uo­mo, il modo di pensare e di agire; può essere piacevole o no ma è comunque un rischio per l’intero rapporto con la realtà. Ma senza comprensione il dolore continuerà. Il dolore termina solo con l’autoconoscenza, con la consapevolezza di ogni pensiero e sentimen­to, di ogni movimento del conscio e di ciò che è celato. Meditazione è la comprensione della coscienza, quella celata e quella manife­sta, e del movimento situato oltre tutto il pensiero e il sentimento.

Era una delle più splendide mattine

mai sorte sul mondo. Il sole stava spuntando e tu lo vedevi tra l’eucalipto e il pino. Era sull’ac­qua, dorato, brunito: una luce che esiste solo al confine tra le montagne e il mare. Era una mattina così luminosa, senza un alito di ven­to, piena di quella strana luce visibile non solo con gli occhi, ma anche col cuore. E quan­do la vedi il cielo è vicinissimo alla terra e ti perdi nella bellezza. Sai, non dovresti mai meditare in pubblico, o con un’altra persona, o in gruppo: dovresti meditare solo in solitu­dine, nella quiete notturna o nella pace della mattina. Quando mediti in solitudine, che sia solitudine. Devi essere completamente solo, non seguire un sistema, un metodo, non ri­petere parole, inseguire pensieri o formulare pensieri assecondando il tuo desiderio.
Questa solitudine viene quando la mente è libera dal pensiero. Quando c’è l’influsso del desiderio o delle cose che la mente inse­gue, nel futuro o nel passato, non c’è solitu­dine. Tale solitudine viene solo nell’immen­sità del presente. E allora, in quella quieta segretezza in cui ogni comunicazione è terminata, in cui non c’è nessun osservatore con le sue angosce, con le sue stupide voglie e i suoi problemi, solo allora, in quella quieta solitu­dine, la meditazione diviene qualcosa che non può essere espresso a parole. La medita­zione diviene un movimento eterno.
Non so se hai mai meditato, se sei mai stato solo con te stesso, lontano da tutto, da ogni persona, da ogni pensiero e desiderio, se sei mai stato completamente solo, non iso­lato, non chiuso in un sogno o in una visione di fantasia, ma lontano, tanto che in te non vi è nulla di identificabile, nulla che tu possa toccare con il pensiero o il sentimento, così lontano che in questa assoluta solitudine il si­lenzio stesso diviene il solo fiore, la sola luce, e la qualità senza tempo che non è misurabi­le dal pensiero.
Solo in questa meditazione l’amore vive. Non preoccuparti di esprimerlo: l’amore si esprimerà da sé. Non usarlo. Non cercare di metterlo in atto: agirà e, quando lo farà, in quell’azione non vi sarà pentimento, non vi sarà contraddizione, non vi sarà infelicità o pena umana.
Quindi medita solo. Perditi. E non cercare di ricordare dove sei stato. Se cerchi di ri­cordarlo, allora sarà qualcosa di morto. E se ti afferri al suo ricordo, non sarai mai più solo. Così, medita in quella solitudine infinita, nella bellezza di quell’amore, in quell’inno­cenza, nel nuovo. Allora c’è quella beatitudi­ne che è immortale.

Il cielo è di un azzurro intenso,

quell’az­zurro che viene dopo la pioggia, e queste piogge sono cadute dopo molti mesi di sic­cità. Dopo la pioggia il cielo è terso e le colline sono colme di gioia e la terra è placida. E su ogni foglia brilla la luce del sole, e la sen­sazione della terra ti è vicinissima. Così, medita nei recessi più segreti del tuo cuore e della tua mente, dove non sei mai stato prima.

La meditazione non è un mezzo diretto a un fine:

non c’è né fine né arrivo; la medi­tazione è un movimento nel tempo e fuori del tempo. Ogni pensiero, ogni metodo lega il pensiero al tempo, mentre la consapevolez­za acritica di ogni pensiero e sentimento, la comprensione delle loro motivazioni, dei lo­ro meccanismi, il permettergli di fiorire, è l’i­nizio della meditazione. Quando pensiero e sentimento fioriscono e muoiono, la medita­zione è movimento oltre il tempo. In questo movimento c’è estasi; nel vuoto completo c’è amore, e con l’amore c’è distruzione e crea­zione.

Meditazione è quella luce nella mente

che illumina la strada dell’azione, e senza quella luce non c’è amore.

La meditazione non è mai preghiera.

La preghiera, la supplica, nasce dall’autocommi­serazione. Si prega quando si è in difficoltà, quando c’è il dolore; ma quando c’è felicità, gioia, non c’è supplica. Questa autocommise­razione, così profondamente radicata nell’uo­mo, è la radice della separazione. Ciò che è separato, o che si crede separato, sempre alla ricerca dell’identificazione con qualcosa che non sia separato, crea solo maggiore divisione e pena. Dal fondo di questa confu­sione si invoca il cielo, o il proprio marito, o qualche divinità della mente. Questa invoca­zione può trovare una risposta, ma la rispo­sta è l’eco dell’autocommiserazione nella sua separazione.
La ripetizione di parole, di preghiere, è autoipnotica, autocircoscrivente e distruttiva. Il pensiero si isola nel campo di ciò che già conosce, e la risposta alla preghiera è la ri­sposta di ciò che il pensiero già conosce.
La meditazione è lontana da tutto ciò. In quel campo il pensiero non può entrare; non c’è nessuna separazione e quindi nessuna identità. La meditazione è all’aperto; non ha segreti. Tutto è esposto, chiaro. Allora la bel­lezza dell’amore è.

Questa mattina

la qualità della meditazione era il nulla, il vuoto totale di tempo e spazio. È un dato di fatto e non un’idea, né il paradosso di contrastanti speculazioni. Si trova questo strano vuoto quando la radice di tutti i problemi si inaridisce. Questa radice è il pensiero, il pensiero che divide e mantiene. Nella meditazione la mente si svuota effetti­vamente del passato, sebbene possa usare il passato come pensiero. Ciò continua per tutto il giorno, e durante la notte il sonno è il vuoto di ieri; perciò la mente tocca ciò che è senza tempo.

Meditazione non è il puro controllo del corpo e del pensiero,

né un sistema di inspi­razione ed espirazione. Il corpo deve essere immobile, in salute e senza alcuna tensione; la percezione deve essere resa più acuta ein­tensa; e la mente che chiacchiera, che distur­ba e che brancola deve acquietarsi. Non bi­sogna cominciare dal corpo, piuttosto biso­gna fare attenzione alla mente, con le sue opinioni, i suoi pregiudizi e il suo egocentri­smo. Quando la mente è sana, vitale e vigo­rosa, la percezione sarà più intensa ed estre­mamente sensibile. Allora il corpo, con la sua intelligenza naturale, non macchiata dall’abi­tudine e dall’inclinazione, funzionerà come deve.
Così, bisogna cominciare dalla mente e non dal corpo, e per mente intendo il pensiero e le sue molte espressioni. La mera con­centrazione rende il pensiero ristretto, limitato e calcolatore, ma la concentrazione viene come una cosa naturale quando c’è la consa­pevolezza delle vie del pensiero. Questa con­sapevolezza non deriva dal pensatore che sceglie e scarta, che si aggrappa e rifiuta. Questa consapevolezza è priva di scelta ed è allo stesso tempo l’esterno e l’interno; è un flusso tra i due, così che la divisione tra esterno e interno ha fine.
Il pensiero distrugge la percezione, la per­cezione che è amore. Il pensiero può offrire solo il piacere, e nell’inseguimento del piacere l’amore è spinto da parte. Il piacere di mangiare, di bere, trova la sua continuità nel pensiero, e non ha senso limitarsi a controllare o reprimere questo piacere prodotto dal pensiero; in questo modo si creano solo varie forme di conflitto e costrizione.
Il pensiero, che è materia, non può ricercare ciò che è al di là del tempo, perché il pensiero è memoria, e l’esperienza racchiusa nella memoria è morta come le foglie dell’au­tunno passato.
Nella consapevolezza di tutto ciò viene l’attenzione, che non è frutto della disatten­zione. È stata la disattenzione a determinare le piacevoli abitudini del corpo e a rendere ottusa la percezione. La disattenzione non può essere trasformata in attenzione. La consapevolezza della disattenzione è attenzione.
La visione di tutto questo processo com­plesso è meditazione, e solo la meditazione può dare ordine a questa confusione: un ordine assoluto come quello matematico, da cui si produce l’azione, l’agire immediato. L’ordine non è disposizione, forma e misura: queste cose vengono molto dopo. L’ordine nasce in una mente che non è ingombra degli oggetti del pensiero. Quando il pensiero tace c’è il vuoto, che è ordine.

Era davvero un fiume meraviglioso,

ampio, profondo, con tante città sulle rive, così spensieratamente libero eppure senza mai lasciarsi andare. C’era tutta la vita sulle sue ri­ve, campi verdi, foreste, case solitarie, morte, amore e distruzione; c’erano lunghi, ampi ponti al di sopra, eleganti e funzionali. Altri corsi d’acqua e fiumi vi confluivano, ma quel fiume era la madre di tutti i fiumi, piccoli e grandi. Era sempre pieno e sempre puro, e di sera era una benedizione contemplarlo, col colore sempre più fondo delle nuvole, e le sue acque d’oro. Il piccolo rivolo d’acqua, lontano, lassù fra quelle gigantesche rocce che sembravano tutte concentrate a produrlo, era l’inizio della vita, e la sua fine era ol­tre le sue rive e oltre i mari.
La meditazione era come quel fiume, solo che non aveva né principio né fine; comin­ciava, e la sua fine era il suo principio. Non c’era alcuna causa e il suo movimento era il suo rinnovarsi. Era sempre nuova, mai si condensava per invecchiare; mai si corrom­peva, poiché non aveva radici nel tempo. È bene meditare senza far forza e senza fare sforzi, cominciando con un rivolo d’acqua fino ad arrivare oltre il tempo e oltre lo spazio, dove il pensiero e il sentimento non possono entrare, dove non c’è esperienza.

Meditazione è la totale liberazione dell’e nergia.


Nello spazio che il pensiero si crea

ntor­no non c’è amore. Questo spazio divide l’uo­mo dall’uomo, e in esso è contenuto tutto il divenire, la lotta della vita, la sofferenza e la paura. La meditazione è la fine di quello spazio, la fine dell’“io”. Allora i rapporti hanno un significato del tutto diverso, perché in quello spazio che non è prodotto dal pensie­ro l’altro non esiste, tu non esisti.
Meditazione non è quindi ricerca di una visione, per quanto sancita dalla tradizione. È piuttosto lo spazio infinito in cui il pensie­ro non può penetrare. Per noi quel piccolo spazio che il pensiero si costruisce intorno, che è l’“io”, è estremamente importante, perché è tutto quel che la mente conosce, iden­tificandosi con tutto ciò che vi è racchiuso. E la paura di non essere nasce in quello spazio. Ma nella meditazione, quando si comprende ciò, la mente può entrare in una dimensione dello spazio nella quale l’azione è non azione.
Non sappiamo cosa sia l’amore, perché nello spazio che il pensiero si crea intorno come “io”, l’amore è il conflitto dell’“io” con il “non-io”. Questo conflitto, questo tormento, non è amore.
Il pensiero è la negazione stessa dell’amore, e non può penetrare in quello spazio in cui l’“io” non è più. Quello spazio contiene la benedizione che l’uomo cerca senza succes­so. La cerca entro i confini del pensiero, ma il pensiero distrugge l’estasi di quella benedi­zione.

La fede non è necessaria,

e neppure gli ideali. Sia l’una che gli altri dissipano l’ener­gia che serve per seguire lo svolgersi del reale, di “ciò che è”. La fede, come gli ideali, è una fuga dalla realtà, e nella fuga non c’è fi­ne al dolore. La fine del dolore è la com­prensione della realtà momento per momen­to. Non esiste un sistema o un metodo che dia la comprensione, ma solo una consapevolezza della singola realtà che sia priva di scelta. Meditare seguendo un sistema signifi­ca evitare la realtà di ciò che si è; è assai più importante capire se stessi, il costante mutare delle realtà che ci riguardano, anziché me­ditare per trovare dio o avere visioni, sensa­zioni e altre forme di distrazione.

Meditazione a quell’ora era libertà,

era come entrare in un mondo sconosciuto di bel­lezza e di quiete: un mondo senza immagini, simboli e parole, senza onde di memoria. L’amore era la morte di ogni minuto e ogni mor­te era il rinnovarsi dell’amore. Non era attac­camento, non aveva radici; fioriva senza una causa ed era una fiamma che bruciava tutti i confini, tutte le barriere della coscienza eret­te con tanta cura. Era bellezza al di là di pensiero e sentimento; non era dipinta su tela, né espressa in parole o incisa nel marmo. La meditazione era gioia e con la gioia veniva una benedizione.

La frontiera dell’amore è la meditazione.


Nella meditazione si deve scoprire

se la conoscenza può aver fine, se può esservi li­bertà dal conosciuto.

Era piovuto molto durante la notte

e il giorno successivo, e dalla gola il torrente fan­goso si gettava nel mare dandogli un colore come di cioccolata. Mentre camminavi sulla spiaggia le onde enormi si frangevano impe­tuosamente disegnando una magnifica curva. Camminavi contro vento e all’improvviso hai avuto la sensazione che non vi fosse nulla tra te e il cielo, e quell’apertura era il paradiso. Essere totalmente aperti, vulnerabili – alle colline, al mare e all’uomo – è l’essenza stes­sa della meditazione.
Non avere resistenze, non avere barriere interiori nei confronti di nulla, essere realmente, totalmente liberi da tutti gli impulsi, le costrizioni e i bisogni insignificanti, con i loro futili conflitti e ipocrisie, vuol dire camminare nella vita a braccia aperte. E quella sera, camminando li sulla sabbia bagnata, cir­condato dai gabbiani, sentivi la sensazione straordinaria di una vasta libertà e la grande bellezza dell’amore che non è in te o al di fuori di te, ma ovunque.
Non ci rendiamo conto di quanto sia importante essere liberi dai piaceri che ci tormentano e dalle loro pene, affinché la mente rimanga sola. Soltanto la mente totalmente sola è aperta. Lo hai sentito all’improvviso, come un forte vento che spazzava la terra pe­netrando dentro di te. Ed ecco che eri spo­glio di tutto, vuoto, e perciò assolutamente aperto. La bellezza di tutto ciò non stava nelle parole o nella sensazione, ma sembrava essere ovunque: intorno a te, dentro di te, sul­l’acqua e nelle colline. La meditazione è que­sto.

Meditazione non è concentrazione,

vale a dire esclusione, separazione, resistenza e quindi conflitto. Una mente meditativa può concentrarsi, e in questo caso non c’è esclu­sione e resistenza, ma una mente concentrata non può meditare.

C’è amore nella comprensione della me­ditazione,

e l’amore non è il prodotto di si­stemi, di abitudini, dell’aver seguito un me­todo. L’amore non può essere coltivato dal pensiero. L’amore può forse nascere quando c’è un completo silenzio, un silenzio in cui colui che medita è del tutto assente; e la mente può essere silenziosa solo quando comprende i propri movimenti come pensie­ro e sentimento. Per comprendere questo movimento di pensiero e di sentimento non ci deve essere condanna nell’osservarlo. Os­servare in questo modo è disciplina, e questo tipo di disciplina è fluido, libero, non quella disciplina che deriva dal conformismo.

Quel mattino il mare era come un lago

o un fiume enorme: senza un’onda, e così cal­mo che ci potevi vedere il riflesso delle stel­le. Era molto presto, l’alba non era ancora spuntata e nell’acqua si riflettevano le stelle, la scogliera e le luci lontane della città. Quando il sole comparve all’orizzonte in un cielo terso, creò un sentiero dorato, ed era straordinario vedere quella luce della Califor­nia pervadere la terra e ogni foglia, ogni filo d’erba.
Mentre guardavi, una grande calma entrò in te. Anche il cervello divenne molto tran­quillo, senza nessuna reazione, senza un mo­vimento, ed era strano sentire quell’immensa immobilità. “Sentire” non è la parola giusta. La qualità di quel silenzio, di quella immobi­lità, non è sentita dal cervello, è al di là del cervello. Il cervello può concepire, formulare o fare un progetto per il futuro, ma questa immobilità è al di là della sua portata, al di là dell’immaginazione, al di là del desiderio. Sei così immobile che il tuo corpo diviene parte della terra, parte di tutto ciò che è immobile.
E quando una brezza leggera venne dalle colline agitando le foglie, quell’immobilità, quello straordinario silenzio, non furono tur­bati. La casa era tra le colline e il mare, e dava sul mare. E mentre guardavi il mare, così calmo, tu sei diventato davvero parte di tutto. Eri tutto. Eri la luce, e la bellezza dell’a­more. Ma anche dire «tu eri parte di tutto» è sbagliato: la parola «tu» è inadeguata, perché in realtà tu non c’eri. Non esistevi. C’era solo quell’immobilità, la bellezza, il senso straordinario dell’amore.

Le parole “tu” e “io” separano le cose.

Tale divisione non esiste in questo strano silenzio e in questa immobilità. E mentre guardavi dalla finestra, lo spazio e il tempo sembravano giunti alla fine, e lo spazio che divide non aveva realtà. Quella foglia e l’eucalipto e l’ac­qua blu e splendente non erano diversi da te.
La meditazione è davvero semplicissima. Siamo noi a renderla complicata, intessendole intorno una ragnatela di idee su cos’è e cosa non è. Ma la meditazione non è nulla di tutto ciò. Ci sfugge proprio perché è così semplice, perché la nostra mente è così com­plicata, così consumata, e dipendente dal tempo. E questa mente detta le azioni del cuore, e così cominciano i problemi. Ma la meditazione viene naturalmente, con una straordinaria facilità, quando cammini sulla sabbia o guardi dalla finestra o vedi quelle meravigliose colline bruciate dal sole della scorsa estate. Perché noi esseri umani siamo così torturati, perché abbiamo le lacrime agli occhi e una falsa risata sulle labbra? Se tu potessi camminare da solo tra queste colline o nei boschi, o lungo quelle candide spiagge, in quella solitudine, sapresti cos’è la medita­zione.
L’estasi della solitudine viene quando non hai paura di essere solo, quando non appar­tieni più al mondo o non sei attaccato a nul­la. Allora, come l’alba che è spuntata stama­ni, silenziosamente si apre un sentiero dorato in quell’immobilità che era al principio, che è ora, e che sarà per sempre.

Meditazione è un movimento entro il non conosciuto

e fuori del non conosciuto. Tu non ci sei più, c’è solo il movimento. Sei troppo piccolo o troppo grande per questo movimento, che non ha nulla davanti o die­tro di sé. È quell’energia che il pensiero-ma­teria non può sfiorare. Il pensiero è perver­sione, poiché è il frutto dello ieri; è preso al laccio dei secoli e perciò è confuso, oscuro. Qualsiasi cosa facciate, il conosciuto non può raggiungere il non conosciuto. La meditazio­ne è la morte del conosciuto.

La meditazione di una mente che sia totalmente in silenzio

è la benedizione che l’uomo sempre cerca. In questo silenzio ogni qualità del silenzio è.

Una volta che avete gettato le fondamen­ta della virtù,

che è ordine nei rapporti, na­sce questa qualità dell’amore e del morire, che è la totalità della vita; allora la mente diviene straordinariamente quieta, naturalmen­te silenziosa, non resa silenziosa dalla repres­sione, dalla disciplina e dal controllo, e quel silenzio è immensamente fertile.
Oltre a questo, nessuna parola, nessuna descrizione può essere d’aiuto. Allora la mente non fa domande sull’assoluto perché non ne ha bisogno, perché in quel silenzio c’è ciò che è. E tutto questo è la benedizione della meditazione.

Le colline erano splendide dopo la piog­gia.

Apparivano ancora bruciate dal sole esti­vo, ma presto il verde sarebbe spuntato. Era piovuto molto forte, e la bellezza di quelle colline era indescrivibile. Il cielo era ancora nuvoloso e nell’aria si spandeva il profumo del sommacco, della salvia e dell’eucalipto. Era splendido trovarsi lì in mezzo, e una stra­na quiete ti possedeva. A differenza del mare che si stendeva in lontananza, laggiù in basso, quelle colline erano perfettamente immo­bili. Osservavi e ti guardavi intorno, e avevi lasciato tutto là sotto in quella piccola casa: i tuoi vestiti, i tuoi pensieri e i tuoi eccentrici modi di vivere. Qui camminavi molto legge­ro, senza pensieri, senza pesi, e con la sensa­zione di un vuoto e di una bellezza assoluti. I piccoli cespugli verdi presto sarebbero stati ancora più verdi, e nel giro di poche settimane avrebbero emanato un profumo più in­tenso. Le quaglie lanciavano il loro richiamo e alcune si levavano in volo. Senza saperlo, la mente era in uno stato di meditazione in cui sbocciava l’amore. Dopo tutto, questo fiore può sbocciare solo nel terreno della medita­zione. Era davvero meraviglioso e, stranamente, ti seguì per tutta la notte e quando ti svegliasti, ben prima del sorgere del sole, era ancora lì nel tuo cuore con la sua gioia incre­dibile, senza alcun motivo. Era ancora lì, im­motivato e inebriante. E sarebbe rimasto per tutto il giorno senza che tu gli chiedessi di restare o lo invitassi a rimanere con te.

Su questa veranda odorosa,

quando l’al­ba è ancora lontana e gli alberi sono ancora silenziosi, la bellezza è l’essenza. Ma di que­sta essenza non si può fare esperienza; il fare esperienza deve cessare, poiché l’esperienza rafforza solo ciò che è noto. Ciò che è noto non è mai l’essenza.
La meditazione non è mai l’esperienza ul­teriore; la meditazione non è soltanto la fine dell’esperienza, che è risposta alla provoca­zione grande o piccola, ma è aprire la porta all’essenza, aprire la porta di una fornace il cui fuoco distrugge totalmente senza lasciare ceneri; non ci sono residui. Siamo noi i residui, noi, i consenzienti delle molte migliaia di ieri, una serie continua di interminabili memorie, di scelta e disperazione. Il grande io e il piccolo io sono il modello dell’esistenza, e l’esistenza è pensiero, e il pensiero è esisten­za che contiene dolore senza fine.
Nella fiamma della meditazione il pensie­ro cessa e con esso il sentimento, poiché né l’uno né l’altro è amore. Senza amore non c’è essenza; senza amore ci sono solo le ceneri su cui si basa la nostra esistenza. Dal vuoto na­sce l’amore.

La meditazione è l’atto del silenzio.


La meditazione non ha principio né fine,

non c’è in essa riuscita né fallimento, non c’è raccolto né rinuncia; è un movimento che non ha finalità, perciò è al di là e al di sopra del tempo e dello spazio. Farne esperienza vuol dire negarla, perché chi fa esperienza è vincolato al tempo e allo spazio, alla memoria e al riconoscimento. La base della vera meditazione è quella consapevolezza passiva che c’è nella totale libertà dall’autorità e dall’ambizione, dall’invidia e dalla paura. La meditazione non ha un significato, non ha al­cun valore senza questa libertà, senza l’autoconoscenza. Non c’è autoconoscenza fino a quando c’è scelta: la scelta implica un con­flitto, che impedisce la comprensione di ciò che è. Perdersi in fantasticherie, in sogni ro­mantici non è meditazione; il cervello deve spogliarsi di ogni mito, illusione e sicurezza e affrontare la realtà della loro falsità. Non esi­stono distrazioni: tutto è contenuto nel movi­mento della meditazione. Il fiore è la forma, il profumo, il colore e la bellezza: ciò che fa la sua totalità. Distruggetelo, in concreto o con le parole, e non ci sarà più il fiore, solo un ricordo di ciò che era, che non è mai il fiore. La meditazione è il fiore intero nella sua bellezza, è il suo appassire e il suo vivere.

Meditazione è libertà dal pensiero

e movi­mento nell’estasi della verità.

Grande era il silenzio a quell’ora mattuti­na

e né un uccello nè una foglia si muoveva. Una meditazione che cominciava a profon­dità sconosciute e continuava con intensità e flusso crescenti, aprì al cervello la strada ver­so un silenzio totale, scavando attraverso le profondità del pensiero, sradicando il sentimento, svuotando il cervello di ogni cosa no­ta e della sua ombra. Era un’operazione e non c’era operatore, chirurgo; procedeva come quando un medico opera un cancro, asportando ogni tessuto contaminato perché il male non si propaghi ulteriormente. Andò avanti, questa meditazione, per un’ora d’oro­logio. Ed era meditazione senza meditante. Il meditante interferisce con le sue stupidità e vanità, le sue ambizioni e la sua avidità. Il meditante è pensiero nutrito di questi con­flitti e queste offese, e il pensiero nella medi­tazione deve cessare totalmente. È questo il fondamento della meditazione.

Meditare è trascendere il tempo.

Il tempo è la distanza che il pensiero copre in tutto ciò che compie. Il pensiero viaggia sempre lungo il vecchio sentiero lastricato a nuovo, nuovo a vedersi, ma è sempre la stessa strada, che non conduce a nulla, se non alla pena e al dolore.
Solo quando la mente trascende il tempo, la verità cessa di essere un’astrazione. Allora l’estasi non è un’idea derivata dal piacere, ma una realtà che non è fatta di parole.
Svuotare la mente dal tempo è il silenzio della verità, e vedere questo è fare; non c’è pertanto divisione fra vedere e fare. Nell’in­tervallo fra vedere e fare nascono il conflitto, l’infelicità, la confusione. Ciò che non ha tempo è l’eterno.

L’alba era lenta a venire

le stelle ancora brillavano e ancora gli alberi erano ritratti in se stessi, non si udiva nessun uccello, neppu­re le piccole civette che non avevano fatto che agitarsi per tutta la notte di albero in al­bero. C’era uno strano silenzio, fatta eccezio­ne per il muggito del mare. C’era quel particolare odore di molti fiori, di foglie marce e terra umida; l’aria era assolutamente immo­bile e l’odore arrivava ovunque. La terra era in attesa dell’alba e dello spuntare del gior­no; c’era aspettativa, pazienza e una strana pace. La meditazione si accompagnava a quella pace e quella pace era amore: non l’a­more di qualcosa e di qualcuno, l’immagine e il simbolo, la parola e le figure; era semplicemente amore, senza sentimento, senza sensa­zione. Era qualcosa di completo in se stesso, nudo, intenso, senza radici e direzione. Il ri­chiamo di quell’uccello lontano era quell’a­more; quell’amore era la direzione e la distanza, esisteva, senza tempo né parola. Non era un’emozione, che svanisce ed è crudele; il simbolo, la parola possono essere sostituiti, ma la cosa no. Essendo nudo, era totalmente vulnerabile e perciò indistruttibile. Aveva la forza inaccessibile di quella diversità, l’inco­noscibile, che arrivava al di là degli alberi e oltre il mare. La meditazione era il richiamo di quell’uccello, che chiamava da quel vuoto, e il muggito del mare che si infrangeva fragorosamente contro la spiaggia. L’amore può esistere soltanto nel vuoto totale. La luce gri­gia dell’alba era là, lontana all’orizzonte, e gli alberi scuri erano più scuri e intensi. Nella meditazione non c’è ripetizione, una conti­nuità di abitudine; c’è la morte di ogni cosa nota e il fiorire dell’ignoto. Le stelle erano svanite e le nuvole si erano destate con l’arri­vo del sole.

Meditazione è uno stato mentale

in cui si guarda tutto con attenzione completa, in mo­do totale, senza limitarsi a una sola parte.

Meditazione è distruggere la sicurezza,

e c’è una grande bellezza nella meditazione, non la bellezza delle cose costruite dall’uomo o dalla natura, ma la bellezza del silenzio. Questo silenzio è il vuoto nel quale e dal quale tutte le cose fluiscono e hanno il loro essere. È inconoscibile, né l’intelletto né la sensibilità possono aprirsi una strada per raggiungerlo; non c’è strada che vi ci porti e un metodo che si ponga questo scopo è l’inven­zione di un cervello avido. Tutte le strade e i mezzi dell’io calcolatore devono essere totalmente distrutti; ogni andare avanti o indie­tro, come fa il tempo, deve giungere a una fi­ne, senza domani. Meditazione è distruzione; è un rischio per chi vuole condurre una vita superficiale e una vita fondata sulla fantasia e sul mito.

È qualcosa di straordinariamente meravi­glioso

se riuscirete a raggiungerlo. Io posso approfondirlo, ma la descrizione non è la cosa descritta. Dipende da voi imparare tutto ciò osservando voi stessi, senza servirvi di li­bri, di maestri che ve lo insegnino. Non affidatevi a nessuno, non legatevi alle organizza­zioni spirituali; bisogna imparare tutto ciò da soli. Allora la mente scoprirà cose incredibi­li. Ma perché succeda non deve esserci fram­mentazione, bensì straordinario equilibrio, acutezza, mobilità. Per una simile mente non esiste tempo e di conseguenza la vita assume un significato del tutto diverso.




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